La Bce si decide: a giugno giù i tassi
Per il vicepresidente De Guindos il taglio è già un «fatto compiuto». Ma la Germania si mette in mezzo: «Prima dobbiamo essere certi che l’inflazione arrivi al 2%»
L’eterno duello tra i falchi e le colombe della Bce dovrebbe ormai essersi concluso con la sconfitta dei rapaci. Tuttavia c’è ancora un margine di dubbio, seppur minimo. Ancora una volta, infatti, è andato sotto i riflettori il duello fra i banchieri del Nord e quelli dell’area mediterranea. Lo spagnolo Luis de Guindos, vicepresidente della Bce, in una intervista a Le Monde annuncia che il taglio dei tassi a giugno è da considerare «un fait accompli» (un fatto compiuto). Si tratta solo di aspettare ma ormai è fatta: dopo due anni di vigorosi giri di vite comincia l’allentamento che, secondo le previsioni, dovrebbe portare il costo del denaro dall’attuale 4,5% a un livello compreso fra il 2 e il 2,5% entro l’anno prossimo. I tassi negativi non torneranno mai più ma per l’eurozona ancora in affanno si tratta di una bella boccata d’ossigeno. Soprattutto considerando che la Federal reserve non toccherà i tassi Usa. L’euro è destinato perciò a svalutarsi sul dollaro a beneficio dell’export europeo.
Come sempre a fare il contro canto con accenti negativi è Joachim Nagel, presidente della tedesca Bundesbank. «Prima di tagliare i tassi d’interesse», dice, «la Bce deve essere convinta che l’inflazione stia tornando al suo obiettivo del 2%».
Botta e risposta con le vestali dell’austerità. Un copione mandato in scena innumerevoli volte in questi anni. Difficile, infatti, dimenticare i confronti fra Nagel e Mario Draghi ai tempi della presidenza della Bce. Invariabilmente il banchiere tedesco era all’opposizione mentre la Bce a guida italiana portava i tassi sottozero. Massicce flebo di liquidità per consentire all’eurozona di superare l’onda lunga della crisi dell’euro e successivamente l’infarto provocato dal Covid.
Con l’arrivo di Christine Lagarde la musica è cambiata. L’ex capo del Fondo monetario, cresciuta all’ombra di Nicolas Sarkozy e poi consacrata da Emmanuel Macron, si è dimostrata piuttosto sensibile alle pressioni tedesche con una stretta vigorosa che ha fatto scendere l’inflazione ma ha messo l’economia europea su una china da cui solo adesso sta faticosamente uscendo. Lo conferma l’indagine Pmi condotta attraverso le interviste con i direttori delle grandi aziende. Ad aprile l’attività economica nell’area dell’euro è cresciuta al ritmo più rapido da quasi un anno. Il miglioramento tuttavia resta modesto per via di performance settoriali divergenti, secondo S&P global che ha stilato il sondaggio. La crescita sempre più robusta dei servizi infatti si contrappone all’andamento dell’industria che, pur migliorando, resta in territorio negativo. La divergenza si nota anche sul fronte dell’occupazione. Cresce soprattutto nel settore dei servizi (banche, assicurazioni, commercio), che essendo sostanzialmente al riparo dalla concorrenza internazionale può sopportare costi crescenti a cominciare da quelli del personale A mettere un po’ di prudenza l’inflazione generata dal settore dei servizi. Pur essendo scesa al 2,4% è ancora superiore al 2% che rappresenta l’obiettivo della Bce. L’italia è in posizione privilegiata perché la crescita dei prezzi si è fermata mentre Germania e Francia mostrano ancora segnali di sofferenza. Ed è anche per questo che De Guindos spinge sul taglio dei tassi: «Siamo stati molto chiari», dice nell’intervista, «se le cose andranno nella stessa direzione delle ultime settimane, a giugno ridurremo il carattere restrittivo della nostra politica monetaria»
Il banchiere tedesco, come risposta, non rinuncia alla sua postura: «Prima di tagliare i tassi di interesse, dobbiamo essere sicuri, sulla base dei dati, che l’inflazione raggiungerà effettivamente il nostro obiettivo in modo tempestivo e duraturo», ha detto Nagel.