La Gazzetta dello Sport

SVEN, IL NUMERO 1

«Il tecnico migliore Non ero nessuno, mi ha fatto grande»

- di Andrea Schianchi Juan Sebastian Veron

L’argentino: «Superiore anche a Sir Alex Ferguson Spero di averlo ripagato con lo scudetto della Lazio»

Il dolore si misura anche con il silenzio. Lunghe pause, tra un ricordo e l’altro, forse per alleviare il peso di un immenso dispiacere. Per quanto si sia preparati, al momento dell’assenza non ci si abitua mai. Juan Sebastian Veron ha conosciuto Sven Goran Eriksson quando lui era poco più che un ragazzino, nell’estate del 1996, alla Sampdoria. E adesso gli aneddoti e gli istanti felici s’intreccian­o in un groviglio di emozioni che ci vorrebbe un mago per venirne a capo.

► Che cosa ricorda del primo incontro?

«Tutto. Io non ero nessuno, soltanto un giovane calciatore venuto dall’Argentina per cercare di sfondare nel calcio italiano. Mentre lui, per me, era il Signor Eriksson. Eppure, quando gli strinsi la mano, non avvertii distanza, mi fece sentire al suo stesso livello».

► Eriksson la volle a tutti i costi nonostante non l’avesse mai vista giocare dal vivo.

«Proprio così. Il mio procurator­e gli aveva fatto avere alcune videocasse­tte e su quelle si basò per chiedere ai dirigenti della Samp di acquistarm­i. Si fidò delle sue prime impression­i».

► E lei ripagò quella fiducia?

«Mi auguro di sì, in quella stagione e in quelle che trascorsi con lui alla Lazio con la vittoria dello scudetto. Ma Eriksson fu fondamenta­le per farmi capire il nuovo mondo nel quale ero sbarcato. Avevo ventuno anni, non ero mai uscito dall’Argentina, avevo bisogno di una guida. Lui, per me, fu una guida. Sia sul campo sia fuori. I suoi consigli non erano mai ordini, aveva un profondo senso del rispetto. Quando gli parlavi, capivi subito che ti stava ascoltando e dunque, in quel momento, ti sentivi al centro dei suoi pensieri».

► Com’era l’Eriksson allenatore?

«Prima cosa da dire: non era invadente. Nel senso che sapeva che la fortuna delle squadre sono i calciatori e lui aveva l’umiltà di mettersi a loro disposizio­ne. Più che delle tattiche e degli schemi, che comunque conosceva alla perfezione, Eriksson si preoccupav­a di creare un gruppo. E quando parlo di gruppo intendo che tra di noi ci doveva essere amicizia, intesa, comprensio­ne. Questo era il suo obiettivo, e dovrebbe essere l’obiettivo di ogni allenatore».

► Lei ne ha avuti tanti di tecnici. Dove colloca Eriksson in un’ipotetica classifica di bravura?

«Al primo posto, e l’ho già detto diversi anni fa. Per me lui è stato il migliore, quello che mi ha accolto, quello che mi ha capito, quello che mi ha migliorato, quello che mi ha fatto diventare un giocatore importante. E ricordatev­i che io sono stato allenato anche da un fenomeno della panchina come Sir Alex Ferguson al Manchester United. Ma Eriksson aveva qualcosa in più: l’aspetto umano».

«Ricordo tutto del primo incontro alla Samp Avevo 21 anni, fu fondamenta­le per farmi capire il nuovo mondo nel quale ero sbarcato»

► Di lei Eriksson disse che era timido, parlava poco nello spogliatoi­o, ma in campo era un vero allenatore.

«Lo ha detto anche a me, una volta, quando avevo smesso di giocare, e ci siamo messi tutt’e due a ridere. Io non sono un chiacchier­one, ma sono uno che pensa soprattutt­o al bene del collettivo. E nelle squadre dove ho giocato questo è sempre stato il traguardo che volevo raggiunger­e: il gioco di tutti è importante, non il gioco di un singolo. Eriksson mi ha insegnato questa lezione e io me la sono sempre portata dietro in tutta la mia carriera».

► Nell’estate del 1999 lo raggiunse alla Lazio. E vinceste lo scudetto.

«Avevo appena conquistat­o la Coppa Italia e la Coppa Uefa con il Parma, ma sapevo che Eriksson mi voleva già da un paio d’anni e feci in modo che il trasferime­nto si realizzass­e. Lo scudetto con la Lazio è stata un’impresa indimentic­abile. E gran parte del merito, a parte la bravura dei giocatori, fu di Eriksson che seppe sempre tenere in equilibrio tutto l’ambiente, sempre facile all’esaltazion­e. Dico una sola cosa che spiega tutto: di allenatori come lui ne nascono pochi, e di uomini ancora meno. E’ per questo che sarà difficile sopportarn­e l’assenza».

il gioco di tutti è importante, non il singolo. Questo mi ha insegnato

Più che alle tattiche che conosceva molto bene, pensava a creare il gruppo

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Tutta la gioia di Eriksson e Veron il 14 maggio del 2000, giorno in cui la loro Lazio vinse un incredibil­e scudetto
LAPRESSE Campioni d’Italia Tutta la gioia di Eriksson e Veron il 14 maggio del 2000, giorno in cui la loro Lazio vinse un incredibil­e scudetto
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