LE SCELTE DI MESSI E IL BRUTTO CLIMA CHE C’È A PARIGI
Chissà se anche lui, anche Lionel Messi, quando ha deciso di andarsene dal Barcellona per approdare al Psg ha pensato - magari per un istante - di raccontare che fosse una scelta di vita.
Già, perché questa è una storia che abbiamo sentito già mille volte. Davanti a ogni distacco, anche il più romantico e il più doloroso, ci si rifugia nel più antico e abusato degli slogan del calcio. Certo è che lasciare la Spagna, la sua casa, il suo caldo marsupio, non si è rivelato un grande affare per uno dei più grandi calciatori della storia. Così grande da aver confermato quattro mesi fa, nel Mondiale in Qatar, di essere ancora un protagonista assoluto, capace di vincere il titolo e di far innamorare anche i tifosi neutrali. Ma una cosa è l’Argentina, la sua nazionale, e un’altra evidentemente il Paris, calamita di tutti i fuoriclasse più celebrati.
Un paradiso, dal punto di vista dei soldi e non solo. Forse una straordinaria illusione: di poter essere ancora se stessi nel più splendente album di figurine, che però evidentemente nasconde il pericolo di non legarti dal punto di vista degli affetti, dell’appartenenza e della riconoscenza. Già, non ci può essere riconoscenza da parte di chi - dal suo punto di vista - ti chiede soltanto la partecipazione estrema e assoluta dal punto di vista professionale. Senza piegarsi all’idea che ci possa essere qualcosa di più. Magari il diritto a non rinnovare il contratto che, stando ai si dice, sarebbe la vera causa della furente reazione alla mancata autorizzazione del viaggio in Arabia. Sì, perché non può bastare un allenamento saltato - secondo Messi e il suo clan addirittura con autorizzazione - a produrre un pandemonio del genere. Fatto sta che lui - il Grande Calciatore, il Campione del Mondo - ha finito per trovarsi improvvisamente ai margini della “sua” squadra. Sì, di quella squadra che - con lui - si era convinta di aver completato la sua galleria degli Artisti. Una chiusura un po’ malinconica per un fenomeno che non ha ancora l’età per la pensione - a 36 anni (da compiere a giugno) ci sono tanti colleghi che si divertono ad essere primattori - e che avrebbe meritato e meriterebbe qualcosa, anzi molto, di più. Ancora qualche stagione da protagonista, a cui - va detto e ripetuto - Messi ha dimostrato di poter ambire appena pochi mesi fa. Quando ha preso per mano la sua Argentina e, dopo
Leo ha dimostrato di poter giocare ancora da protagonista. Non merita questo finale
un avvio delicato, l’ha portata al gradino più alto del podio. Ora però la situazione è cambiata radicalmente e i suoi nuovi tifosi sono arrivati a trasformare in un anno e mezzo le urla di gioia in quelle di contestazione. Qualcosa, per Messi, di sconosciuto.
È per questo che - pure a questi livelli assoluti - bisognerebbe sempre pensarci due volte. Perché anche un campione - che nella sua carriera ha giocato mille partite, ha conquistato 42 trofei, per sette volte si è aggiudicato il Pallone d’oro - si trova nella vita a dover fare una scelta. E non sempre, per raccontarla addirittura a se stessi, ci si può nascondere - invertendo i termini - in quello slogan che si è trasformato in un ritornello. Una scelta di vita.