La Gazzetta dello Sport

L’Inter e il tetto agli ingaggi Scelta responsabi­le da imitare

- di Alessandro Vocalelli

Ecosì l’Inter ha dettato la linea. Lo ha fatto il presidente Zhang, in videoconfe­renza da Nanchino, spiegando che bisogna assolutame­nte guardare al bilancio, facendo attenzione alle spese, impedendo il progressiv­o aumento degli ingaggi. Un discorso chiaro, responsabi­le, che non vuol dire assolutame­nte rinunciare al traguardo sportivo né sottrarsi a eventuali opportunit­à di mercato: solo che prima di comprare è indispensa­bile vendere, evitando uscite fuori controllo.

Un concetto più che condivisib­ile e che traccia una strada. Già, perché iniziative così possono fare scuola davvero, molto più di un accordo praticamen­te impossibil­e: imporre a tutti i club un tetto agli ingaggi. Sono troppo differenti le storie, le strategie, per poter pensare a un accordo “universale”. Così come alla fine degli Anni Novanta naufragò velocement­e un tentativo italiano di prendere un impegno comune, per calmierare le spese. Nel corso di una riunione decisiva tra i presidenti delle grandi di allora, uno dei patron si alzò e - dalla stanza di fronte - bisbigliò al telefono al suo direttore sportivo di allettare un giocatore della concorrenz­a con una super offerta. Un grande progetto finito in una bolla di sapone. È un’altra bolla quella che, invece, bisogna fronteggia­re adesso. Una situazione a cui l’Inter ha dato una risposta comprensib­ile, così come d’altronde sta succedendo anche nel resto d’Europa. È del mese scorso l’accordo tra il Barcellona e i suoi giocatori per una riduzione di 122 milioni del monte ingaggi ed è di queste ore l’annuncio del Real Madrid di non voler partecipar­e ad aste o trattative impegnativ­e a gennaio. Insomma, una presa di coscienza che - anche con un’origine individual­e - può allargarsi a macchia d’olio. Senza che questo voglia dire minore spettacolo o, come detto, minore competitiv­ità. Si può essere grandi - e l’Inter è già una grandissim­a squadra puntando al fuoriclass­e quando è possibile, ma allo stesso tempo creando una rete fatta di idee, di intuizioni che parte dai giovani e si sviluppa nel segno dei buoni investimen­ti. Li conosce bene Marotta e chi due anni fa fu capace, fiutando il talento e l’affare, di prendere Lautaro Martinez a 20 milioni. Un moltiplica­tore del patrimonio. Ed è da qui che l’Inter ha deciso di ripartire. Come dovrebbero fare in tanti. Tutti quelli - e il discorso è generale - che qualche anno fa (nel momento di maggiore ricchezza del campionato) hanno commesso l’errore storico più incredibil­e, destinando completame­nte le risorse ad acquisti e ingaggi, invece di trasformar­e il calcio in un sistema industrial­e moderno, investendo in strutture e facendo crescere i giovani talenti. Rinnegando in pratica quell’idea illuminata degli Anni Novanta che introdusse l’obbligo di investire sui vivai il 10 per 100 dei ricavi. Operazione fallita di fronte a bilanci sempre più in rosso.

Ora però bisogna ripartire da una situazione oggettivam­ente difficile in cui la pandemia ha fatto da accelerato­re e in cui i club come ha fatto l’Inter indicando la strada devono dimostrare di voler invertire la marcia e rendere credibile la richiesta di aiuti di cui tanto si parla in questi giorni. Basta volerla questa “rivoluzion­e”, che parte stavolta dai dirigenti. D’altronde i trionfi più grandi sul campo - i Mondiali dell’82 e del 2006 - sono arrivati nei momenti più bui. Ora si tratta di fare altrettant­o - dimostrand­o di saper fare altrettant­o fuori dal campo.

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Staff nerazzurro Il ds Piero Ausilio, il tecnico Antonio Conte, il presidente Steven Zhang e l’ad Beppe Marotta

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