L’Inter e il tetto agli ingaggi Scelta responsabile da imitare
Ecosì l’Inter ha dettato la linea. Lo ha fatto il presidente Zhang, in videoconferenza da Nanchino, spiegando che bisogna assolutamente guardare al bilancio, facendo attenzione alle spese, impedendo il progressivo aumento degli ingaggi. Un discorso chiaro, responsabile, che non vuol dire assolutamente rinunciare al traguardo sportivo né sottrarsi a eventuali opportunità di mercato: solo che prima di comprare è indispensabile vendere, evitando uscite fuori controllo.
Un concetto più che condivisibile e che traccia una strada. Già, perché iniziative così possono fare scuola davvero, molto più di un accordo praticamente impossibile: imporre a tutti i club un tetto agli ingaggi. Sono troppo differenti le storie, le strategie, per poter pensare a un accordo “universale”. Così come alla fine degli Anni Novanta naufragò velocemente un tentativo italiano di prendere un impegno comune, per calmierare le spese. Nel corso di una riunione decisiva tra i presidenti delle grandi di allora, uno dei patron si alzò e - dalla stanza di fronte - bisbigliò al telefono al suo direttore sportivo di allettare un giocatore della concorrenza con una super offerta. Un grande progetto finito in una bolla di sapone. È un’altra bolla quella che, invece, bisogna fronteggiare adesso. Una situazione a cui l’Inter ha dato una risposta comprensibile, così come d’altronde sta succedendo anche nel resto d’Europa. È del mese scorso l’accordo tra il Barcellona e i suoi giocatori per una riduzione di 122 milioni del monte ingaggi ed è di queste ore l’annuncio del Real Madrid di non voler partecipare ad aste o trattative impegnative a gennaio. Insomma, una presa di coscienza che - anche con un’origine individuale - può allargarsi a macchia d’olio. Senza che questo voglia dire minore spettacolo o, come detto, minore competitività. Si può essere grandi - e l’Inter è già una grandissima squadra puntando al fuoriclasse quando è possibile, ma allo stesso tempo creando una rete fatta di idee, di intuizioni che parte dai giovani e si sviluppa nel segno dei buoni investimenti. Li conosce bene Marotta e chi due anni fa fu capace, fiutando il talento e l’affare, di prendere Lautaro Martinez a 20 milioni. Un moltiplicatore del patrimonio. Ed è da qui che l’Inter ha deciso di ripartire. Come dovrebbero fare in tanti. Tutti quelli - e il discorso è generale - che qualche anno fa (nel momento di maggiore ricchezza del campionato) hanno commesso l’errore storico più incredibile, destinando completamente le risorse ad acquisti e ingaggi, invece di trasformare il calcio in un sistema industriale moderno, investendo in strutture e facendo crescere i giovani talenti. Rinnegando in pratica quell’idea illuminata degli Anni Novanta che introdusse l’obbligo di investire sui vivai il 10 per 100 dei ricavi. Operazione fallita di fronte a bilanci sempre più in rosso.
Ora però bisogna ripartire da una situazione oggettivamente difficile in cui la pandemia ha fatto da acceleratore e in cui i club come ha fatto l’Inter indicando la strada devono dimostrare di voler invertire la marcia e rendere credibile la richiesta di aiuti di cui tanto si parla in questi giorni. Basta volerla questa “rivoluzione”, che parte stavolta dai dirigenti. D’altronde i trionfi più grandi sul campo - i Mondiali dell’82 e del 2006 - sono arrivati nei momenti più bui. Ora si tratta di fare altrettanto - dimostrando di saper fare altrettanto fuori dal campo.