La Gazzetta dello Sport

LA FEDE DI ETO’O

«Io, il terzino di Mou Ecco perché sono nato (e morirò) interista»

- di Elefante

Arrivò e aveva il Triplete che gli scorreva ancora in corpo: in dieci mesi iniettò quel sangue nelle vene di tutti, all’Inter. Questo fu Samuel Eto’o per quel club e quella squadra: una scossa da febbre di vittorie, un pezzo di rivoluzion­e (anche tattica), un esempio, un totem. Adrenalina: oggi lo scrive alla fine di tutti i suoi post come una firma, allora fu il fluido contagioso di chi sa come si fa. E sapeva anche raccontarl­o, come si vedrà.

3Eto’o, dieci anni dopo: chiuda gli occhi e scelga un’immagine di quella stagione incredibil­e.

«Alzo la coppa verso il cielo e non ci sono solo le mie mani a tenerla: è un flash, ci vedo anche le mani di milioni di tifosi dell’Inter, che la tirano su assieme a me».

3Triplete in due anni consecutiv­i, con il Barcellona e poi con l’Inter: il sapore diverso di due trionfi.

«Molto diverso: l’Inter cercava la coppa dei campioni da 45 anni: arrivare in una piazza così speciale e così affamata e vincerla subito mi sembrò un’impresa unica, un sogno».

3Il suo primo contatto con l’Inter?

«Fu con quello che sarebbe diventato mio fratello Marco. La storia del suo sms si conosce: un certo Materazzi mi scrive “Se vieni tu all’Inter vinciamo tutto”, non ho quel numero in rubrica e chiedo ad Albertini: “E’ suo?”. Era il suo. Una cosa del genere non mi era mai successa in tutta la carriera: quel messaggio ha avuto un grande peso nella mia scelta. E ha fatto nascere una grande amicizia».

E con Moratti quando parlò?

«Il presidente mi chiamò poco dopo e in un francese perfetto mi disse: “Eto’o, si fidi: lei all’Inter si troverà benissimo, diventerà come casa sua”. Aveva ragione».

Lo ha definito addirittur­a un dio in terra.

«Chi mette il rapporto umano davanti a qualsiasi altra cosa per me è come un dio. In terra, appunto».

E Mourinho cosa le disse per convincerl­a a scegliere l’Inter?

«Molto semplice, mi mandò una foto della maglia dell’Inter con il numero 9: «E’ la tua: ti aspetta».

Si parlò molto del suo ingaggio da favola, ma la storia interista di Eto’o iniziò con un colpo di scena.

«Per me l’idea di partecipar­e alla sfida di un ambiente pieno di aspettativ­e faceva la differenza, ma c’era anche una differenza importante fra la proposta dell’Inter e quello che chiedevo io. Quando incontrai Moratti, Branca e i dirigenti che partecipar­ono alla trattativa, ad un certo punto stupii tutti: “Trasformia­mo questa differenza in bonus di squadra, se vinciamo la Champions nei prossimi due anni”. Dieci mesi dopo eravamo campioni d’Europa».

Lasciando il Barcellona si era sentito deluso da Guardiola?

«Sì, ma in realtà mi ero già lasciato tutto alle spalle: sapevo che avrei dovuto andarmene, stavo già parlando con diversi club, ma quel messaggio di Materazzi rallentò qualsiasi altra trattativa in corso. Sentii che era l’Inter la strada giusta».

In cosa Guardiola e Mourinho sono stati simili e in cosa diversi per lei?

«L’unico punto in comune che hanno questi due allenatori è la voglia di vincere: personalit­à completame­nte differenti e differente visione di calcio».

Nella stagione di gloria 2009-2010 si vide un Eto’o diverso da sempre: «solo» 16 gol stagionali e lei diceva sempre che meno di 25 non li contava neanche. Decisivo più che risolutivo, visto che fu la pedina tattica fondamenta­le di quel Triplete.

«Io sentii subito di avere una fortuna: ero dove volevo essere. E chi era il vero Eto’o si vide il secondo anno: ancora uno degli attaccanti piu decisivi d’Europa. Quanto alla tattica, feci solo quello che dovevo, quello che meritava un gruppo così».

Anche giocare esterno, facendo a volte addirittur­a il terzino?

«Terzino puro solo a Barcellona, ma quella fu un’emergenza. E comunque ciò che pensai quella sera in realtà fu il mio pensiero di tutto l’anno. Quando fu espulso Thiago Motta, Mourinho chiamò me e Zanetti, ci spiegò come metterci in campo: non avevo neanche il tempo di riflettere su quanto avrei dovuto correre stando sulla fascia, mi dissi solo “Dai tutto e vedremo alla fine”. E alla fine eravamo in finale».

E Mourinho come le fece accettare, quando tornò dalla Coppa d’Africa a gennaio, di giocare a singhiozzo per un mese?

«Non era facile ma accettai, però solo fino a prima della partita contro il Catania. Poi decisi che era abbastanza, glielo dissi, e Mourinho mi stupì anche quella volta: “Ecco, adesso ho il Samuel Eto’o che volevo”. E da li è partito tutto».

Il suo lavoro, come quello del resto della squadra, aiutò Milito a segnare 30 gol, molti più di lei: come fece Diego a conquistar­si la sua fiducia?

«Grazie a Dio la gelosia non è un sentimento che mi appartiene. Diego era in un grande momento, vicino alla porta non sbagliava mai, ma in fondo faceva quello che facevo io: io giocavo per la squadra, lui segnava per la squadra».

3La

partita di Londra e il gol al Chelsea: il suo momento più alto di quella stagione?

«Di quella notte ricorderò per sempre due cose. Il discorso di Mourinho prima della partita: “Nessuna squadra che ho allenato può battermi”. Entrammo in campo con una determinaz­ione diversa: non giocavamo solo per noi, ma anche per l’allenatore. E poi lo stop che feci prima di segnare, la palla scendeva e mi dissi: “Se lo fai bene, poi segni facile”. Ce l’ho ancora qui negli occhi, quel controllo».

Quattro mesi prima c’era stato un brivido diverso, a Kiev: sull’1-0 per la Dinamo a 5’ dalla fine pensò «Siamo fuori dalla Champions»?

«Partita strana, così tanto che

Il camerunese ricorda il suo secondo Triplete consecutiv­o: «Arrivai e invece di un ingaggio più alto per me, chiesi bonus di squadra per la vittoria della Champions»

nell’intervallo José urlò come poche altre volte: non la stavamo giocando. Il gol di Snejider fu una liberazion­e, ma io non mi ero mai sentito già fuori: sapevamo di essere una squadra di campioni, con la mentalità da campioni».

E il momento in cui si è detto: «Sì, vinciamo la Champions» e dunque il Triplete?

«Ho avuto una sensazione chiarissim­a quando ho saputo che avremmo giocato contro il Barcellona in semifinale: più importante era la sfida, più ci saremmo caricati per vincerla».

Proprio la sua ex squadra: lo vide come un segno del destino?

«Fu esattament­e quello che mi dissi: stavamo per scrivere una storia troppo bella, salire l’ultimo gradino prima della finale al Camp Nou era questo, per me: un segno».

Ci racconta il suo discorso alla squadra prima della finale di Madrid?

«Non fu lungo, dissi sempliceme­nte: “Una finale non si gioca, si vince. O moriamo in campo e portiamo la coppa a Milano, o moriamo perché a Milano non ci torniamo. Quindi vediamo di tornarci, e di portarci la coppa”».

Fu Mourinho a chiederle di parlare alla squadra.

«Sì, e non me l’aspettavo per niente: sempliceme­nte incredibil­e, un’altra dimostrazi­one del fatto che è un signore».

Prima di Madrid, due finali di Champions e due gol: si sentì mai vicino a segnare contro il Bayern?

«Sul secondo gol di Diego Milito ero lì, ma quando segnò alzai le braccia come se lo avessi fatto io: la cosa che doveva essere uguale alle altre due finali era portare a casa la coppa,

non fare gol».

Durante la festa in campo non tolse mai la bandiera del Camerun dalle spalle.

«Avevo vinto per tre popoli: quello dell’Inter, quello del Camerun e quello africano».

Nel 2013 si disse che dall’Anzhi sarebbe potuto tornare all’Inter: fu una possibilit­à concreta?

«Non so se ci sia mai stata una chance concreta, ma avevo espresso il desiderio di tornare: sarebbe stato molto bello».

E’ perché, come ha dichiarato, «non si smette mai di essere interisti»?

«Esatto: se sei interista una volta, morirai interista. Non c’è un motivo e questa cosa non può cambiare: è così e basta».

TEMPO DI LETTURA 6’9”

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(Foto: Samuel Eto’o eroe del Triplete nerazzurro nel maggio 2010)
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LIVERANI Ha giocato in sei Paesi Samuel Eto’o, 39 anni, ha giocato con Leganés, Real Madrid, Espanyol, Maiorca, Barcellona, Inter, Anzhi, Chelsea, Everton, Sampdoria, Antalyaspo­r, Konyaspor e Qatar SC
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Il gol che Samuel Eto’o segnò a Stamford Bridge, decidendo Chelsea-Inter, il ritorno degli ottavi di Champions
Quel gol a Londra Il gol che Samuel Eto’o segnò a Stamford Bridge, decidendo Chelsea-Inter, il ritorno degli ottavi di Champions

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