IL GIARDINO DI ROGER
Dopo l’Europeo di calcio e l’Olimpiade, anche Wimbledon ha dovuto alzare bandiera bianca davanti all’emergenza Coronavirus. A differenza delle altre due grandi manifestazioni che si svolgono ogni quadriennio, i Championships inglesi ci tenevano compagnia ogni anno in maniera praticamente ininterrotta dal 1887. Il torneo più importante e più vecchio della storia del tennis in passato s’era dovuto fermare solamente davanti alla Prima (1915-1918) e alla Seconda guerra mondiale (19401945). Adesso gli organizzatori sono costretti a tenere chiusi i cancelli dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club davanti a una terza guerra, quella contro la pandemia. Una scelta inevitabile, che peserà nel portafoglio delle nostre passioni sportive. Perché Wimbledon è qualcosa di unico. E’ fuori categoria, viaggia su una dimensione particolare capace di attirare a sé non solo l’appassionato di tennis, ma anche lo sportivo qualunque o il semplice curioso, catturato da tanta unicità.
Le fragole con la panna, il bianco obbligatorio delle tenute dei giocatori, l’assenza di sponsor intorno al campo, le palline della tigre (che si possono vedere solo a Londra), ma soprattutto l’erba ci restituiscono ogni anno un quadro affascinante. Tutti, almeno una volta nella vita, vorrebbero avere la fortuna di riuscire a entrare in questo tempio del tennis, a sud ovest dal centro di Londra. Anche i giocatori e le giocatrici, per i quali far parte del tabellone è come aver superato un esame di maturità. Sui prati più famosi del mondo si trasformano, riescono a dare il centodieci per cento. Ed è anche per questo che più di una volta abbiamo assistito a colpi di scena clamorosi con il carneade di turno capace di eliminare un superfavorito. Poi c’è lui, Roger Federer. Wimbledon è un po’ il suo giardino di casa. Ci ha vinto otto volte, come mai nessuno è riuscito e riuscirà a fare. Il suo libro inglese è fatto di pagine straordinarie. Dal primo capitolo del 2001 quando agli ottavi (7-5 al quinto set) eliminò Pete Sampras in una sorta di scambio delle consegne tra leggende, alla prima vittoria del 2003 colta contro il gigante americano Mark Philippoussis. Da lì partì una serie di cinque vittorie
consecutive fino al 2007, uguagliando il record di Borg. L’ottavo sigillo del 2017 ha riscoperto un campione assoluto che molti pensavano già sul viale del tramonto. La cosa incredibile è che anche le sconfitte di Federer sono passate alla storia. La finale del 2008 persa contro Rafa Nadal è forse una delle partite più belle di questo sport. Quella dell’anno scorso con Nole Djokovic ci ha regalato un Roger col braccino che durante un incredibile quinto set, servendo in vantaggio per 87, ha sprecato due match point e ha perso poi al tiebreak 13-12. Un epilogo davvero amaro per il quale lo svizzero ha pianto e che gli è rimasto nella testa come un chiodo fisso. Un’onta che voleva lavare quest’anno. Nel suo calendario aveva rinunciato a tutta la stagione della terra rossa pur di presentarsi fresco e preparato per l’erba di Londra. Poi il coronavirus ha fatto strage di tornei. Ed è caduto anche il bastione di Wimbledon. Lui prima si è lasciato sfuggire un «sono devastato» (ma perché, non se l’aspettava?). Poi ha fatto capire chiaramente che il prossimo anno ci sarà. A quasi 40 anni, per cercare di finire la carriera con il nono trionfo.