Il Milan dov’è ?
ROSSONERI SCOSSI, IMPRECISI COSÌ IL GENOA RIVEDE LA LUCE
Pandev e Cassata mandano al tappeto un Diavolo frastornato dalle vicende societarie. Poi una ripresa rabbiosa e il gol di Ibra
«Unplugged», con la spina staccata, come si dice nel rock. Il Milan perde in casa con il Genoa, ripiomba nell’oscurità e la lettura è facile, quasi scontata: c’era da immaginarselo, i giocatori sono carte assorbenti, non si poteva pensare che non ci fossero contraccolpi al licenziamento di Zvone Boban e alle voci sempre più insistenti sull’ennesima rivoluzione, sul tedesco Rangnick quale futuro allenatore. Le rassicurazioni di Ivan Gazidis a Stefano Pioli non sono bastate, lo spogliatoio le ha recepite come incoraggiamenti di prammatica, la squadra sul campo si è persa. Smarrita la ferocia vista nel primo tempo del derby, stemperata la tenacia apprezzata in Coppa Italia contro la Juve. Riecco il Milan ondivago, prigioniero del suo passato glorioso e di un presente che si ripete sempre uguale, tipo quel vecchio film americano con Bill Murray, «Ricomincio da capo», in cui ogni giorno si snoda uguale al precedente. Al contrario è risorto il Genoa, tonificato dalla cura Nicola: tre vittorie nelle ultime quattro partite e il terzultimo posto non più in solitaria, ma condiviso con il Lecce, agganciato a quota 25 punti. La salvezza non è più un’utopia.
Sole e gelo
Sedici gradi di temperatura, bel sole, anticipo di primavera, ma freddo dentro. San Siro chiuso per coronavirus, in linea con Milano città. Non la solita partita a porte chiuse per squalifica: prevaleva la netta percezione d’essere coinvolti in qualcosa di più grande e imperscrutabile. Gelo interiore, massima incertezza sul futuro, domande esistenziali: ritorneremo a vedere calcio? Quando? Fragilità.
Superiorità
Milan subito ingolfato dal Genoa, dalla sua voglia di esserci e di far punti. Nel primo tempo Davide Nicola ha incartato Pioli con la superiorità sulle fasce e con la posizione ibrida di Sanabria, centravanti di facciata, in realtà distributore del gioco offensivo genoano. Biraschi ha osato l’inosabile e ha ribaltato il tavolo sulla faccia di Theo Hernandez, il propulsore mancino del Milan,che a lungo, prima dell’arrivo di Ibra, si era imposto come unica certezza del povero Diavolo contemporaneo. Ieri Hernandez è stato incenerito, non è casuale che i due gol genoani siano arrivati dalla destra, la sinistra di Theo, con iniziative di Sanabria (0-1 di Pandev) e di Biraschi (0-2 di Cassata). Stessa solfa dall’altra parte, centro-sinistra in cui Criscito e Cassata hanno imperversato e seminato insicurezze dalle parti di Conti e di Gabbia. Andavano spediti e faticavano a prenderli. Il Milan ha battuto due colpi importanti, Calhanoglu ha imboccato Ibra davanti a Perin e poi Ibra ha restituito il favore al turco-tedesco, ma il portiere è stato vigile, li ha quasi convinti a tirargli addosso. Due sprechi monumentali, il segno che sarebbe stato un pomeriggio difficile. Il Genoa non è stato padrone nel possesso, ha lasciato al Milan il predominio del pallone per tutta la partita, ma ha ingarbugliato le linee di passaggio dei rossoneri, ha costretto i milanisti ad affrettare le giocate oppure a tessere prevedibili fili.
Reazione
Diverso copione nella ripresa, quando il Milan è uscito dal torpore, dai retro-pensieri su quel che sarà, e ha forzato lo svolgimento, con pressioni irose e con l’occupazione militare degli spazi. Le fasce hanno ripreso a funzionare, anche la sinistra di Hernandez, ma la salita era ripida, difficile accorciare il distacco. Serviva un gol subito, però la rete della speranza è arrivata poco oltre la mezz’ora. Un gol abbastanza casuale, più rabbioso che altro. Tiro di Bonaventura, respinta di Soumaoro e la palla che è rimasta lì, a uso e consumo di Ibra. A seguire un finale di assalti dettati da una collera sorda. I tifosi non c’erano, ma sembrava di sentirli: perché ci siamo ridotti così, noi che avevamo Gullit e Van Basten? L’eterno ritorno del grande passato rossonero, ma un eventuale 2-2 non avrebbe spostato di un centimetro la riflessione amara sul Milan che non esce dal purgatorio. È quasi meglio che sia finita così, con la sconfitta. Se catarsi purificatrice deve essere, che lo sia fino in fondo, senza sconti. In molti hanno tentato di rianimare il Milan. Che ci provi Rangnick: uno in più uno in meno poco cambia.
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