La Gazzetta dello Sport

È PIÙ AMATO PERCHÉ SOGNATORE

L’impresa del britannico al Giro

- Di PIER BERGONZI

S teve Jobs invitava a rimanere «affamati e un po’ folli», requisiti base per sognatori geniali. Froome lo è stato e il suo azzardo ai confini con la «pazzia» trasforma la foto dell’arrivo sullo Jafferau in una cartolina spedita alla leggenda del Giro.

Steve Jobs invitava a rimanere «affamati e un po’ folli», requisiti base per sognatori geniali. Chris Froome lo è stato e il suo azzardo ai confini con la «pazzia» trasforma la foto dell’arrivo sullo Jafferau in una cartolina spedita alla leggenda del Giro d’Italia. A memoria, nessuno suiveur attuale ha mai ha visto un’impresa così. Il riferiment­o più fresco è il volo di Marco Pantani, nella bufera del Galibier al Tour del 1998. Il Pirata salutò tutti a 47 chilometri dal traguardo di Les Deux Alpes, dove Ullrich arrivò con quasi 9 minuti di ritardo e gli passò la maglia gialla. Ma ieri Froome si è inventato una galoppata solitaria di 80 chilometri! Al Giro nemmeno Merckx o Hinault si sono esaltati in una fuga così. Lo scriviamo col timore di essere irriverent­i, ma il pensiero ci porta solo a Fausto Coppi e alla CuneoPiner­olo del Giro 1949, la tappa delle tappe. Quel giorno il campioniss­imo partì sulle prime rampe del Col della Maddalena, quando mancavano 192 chilometri e altri quattro Passi Alpini. Gino Bartali, vedendolo andar via in progressio­ne pensò, anzi disse ad alta voce: «Questo è pazzo...». Poi Bartali fu costretto a un inseguimen­to matto e disperatis­simo per chiudere secondo a una dozzina di minuti da Coppi.

Ieri è stato lo stesso Froome a darsi del pazzo. Non aveva niente da perdere e per far saltare il banco serviva una follia. Uno di quegli attacchi da tutto o niente, senza il paracadute di un contentino. In questa indole sta la statura del campione visionario capace di imprese che segnano per sempre una carriera e fanno storia. Questo Giro d’Italia ci restituisc­e un Froome diverso, meno tecnica e più cuore. Chris non sarà mai un esempio di stile in bicicletta, ma la sua «frullata» accompagna­ta da quella testa che ciondola è un marchio brevettato e ora sappiamo che dietro alla furia agonistica c’è la tenacia di un uomo che sa sognare in grande. Cambia anche la percezione che abbiamo di lui: ora Froome è più amato perché i tifosi amano i sognatori.

Il britannico di Sky era arrivato al Giro con la testa affollata di cattivi pensieri. Il ritardo infinito del giudizio sui valori anomali di Salbutamol­o della Vuelta 2017 e la fredda accoglienz­a dei rivali hanno condiziona­to la sua prima metà gara. Metteteci le due cadute di Gerusalemm­e e di Montevergi­ne e capirete perché qualcuno del suo clan gli aveva consigliat­o di ritirarsi. Per due settimane ha fatto da spettatore allo show di Simon Yates, l’altro britannico, che sembrava giocare al gatto col topo col resto del gruppo. Ma il Giro è una lunga corsa a tappe... Niente è scontato. Froome ha saputo aspettare. Si è sbloccato sullo Zoncolan e ha preparato la «vendetta» del Colle delle Finestre, su quello sterrato che gli ricorda la sua infanzia in Kenia. Ora è in maglia rosa e con la casacca color Gazzetta proverà a vincere anche oggi a Cervinia per abbracciar­e definitiva­mente il suo destino. Ci è riuscito perché ha saputo rimanere molto affamato e un po’ pazzo. P.S. Qualunque sia il verdetto del tribunale unico dell’Uci sul caso Salbutamol­o non dovrà aver nulla a che fare con questo Giro. Auguriamo a Froome di far valere le sue ragioni, ma se fosse ritenuto colpevole, che la squalifica parta dal giorno in cui sarà decisa. Non ci sia un altro caso Contador, lo chiediamo per il rispetto di chi segue il ciclismo e perché non sia mortificat­a un’impresa come questa.

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