Tatum meglio di LeBron: è il trionfo di Ainge
●Il rookie preso dal gm, con l’ennesima magia di mercato, trascina Boston al 3-2 sui Cavs. Coach Stevens: «Oltre le aspettative»
Red Auerbach, da lassù, se la ride a crepapelle. Con ogni vittoria dei suoi Celtics in questa improbabile cavalcata nei playoff, Danny Ainge somiglia sempre di più al patriarca biancoverde. Ne andrebbe orgoglioso. Lui, che sfilò Bill Russell a St.Louis (anche) grazie alla promessa di far esibire lo show «Holiday on Ice» gratis nella città del Missouri, si fregherebbe le mani davanti all’ennesima prova da star di Jayson Tatum, 20 anni, miglior marcatore di Boston con 24 punti in gara-5, vinta 96-83 sui Cavs per il 3-2 nella serie. Boston aveva la prima scelta al draft 2017, e sapeva benissimo su chi avrebbe puntato, il «one and done» da Duke maturo ben oltre i suoi pochi anni. Lakers e Phila erano innamorate di Lonzo Ball e Markelle Fultz. Ecco allora che Ainge convince (riuscendo a restar serio) i Sixers a scambiare la loro 3a chiamata con la uno, portando a casa però un’altra prima scelta, diventata poi quella dei Kings nel 2019, potenzialmente tra le prime 5. Ben sapendo che il loro uomo l’avrebbe trovato ancora lì, alla tre. Tatum sta dominando i playoff a Est, Fultz ha messo a malapena piede in campo... «Mi piace giocare nei momenti importanti – dice il 20enne – Siamo a una vittoria dalle Finals, i playoff tirano fuori il meglio di te». Dall’altra parte, LeBron boccheggia. E’ allo stremo delle forze. Gli manca una spalla. Gli manca Kyrie Irving. Che – non fosse infortunato – giocherebbe con i Celtics. Già, perché «Ainge è un c .... di ladro» come ha detto un componente del quintetto dei Cavs. Eh già, Irving per la scelta dei Nets, diventata una misera n.8, e Isiah Thomas, rotto. Roba da circonvenzione d’incapace. Eppure neanche il più ottimista dei tifosi bostoniani pensava di trovarsi qui, a un passo dallo sfidare Warriors o Rockets per il titolo, dopo aver perso Hayward e il play.
STEVENS Tatum non dovrebbe dominare la scena in una finale di conference. Come sempre il saggio Brad Stevens mette tutto in prospettiva: «A volte parliamo troppo di sviluppo – spiega – Il nostro compito è aumentare il valore di un giocatore. Jason era già pronto per affrontare tutto quello che si è trovato davanti sin qui per il tipo di persona che è, per la famiglia che ha alle spalle e per gli allenatori che lo hanno seguito prima che arrivasse qui. Certo, sta andando oltre le aspettative ma le basi sono sempre state solide». Danny lo sapeva, i Sixers no... L’altra faccia della medaglia è King James con la testa che affonda nell’asciugamani. «L’ho visto stanco» ha detto coach Lue. «Siamo tutti stanchi a questo punto della stagione» ha minimizzato lui. Eppure, per la prima volta in secoli, ha dato l’impressione di non avere la forza per fare quelle che cose che solitamente gli vengono naturali. Il Prescelto cerca conforto nella lettura. Il trainer dei Cavs gli ha regalato «L’Alchimista» di Paulo Coelho. Una frase lo ha colpito: «Quando si vuole una cosa, tutto l’universo cospira affinché si riesca a realizzare il sogno». Avrà bisogno giusto di quello per centrare la sua ottava finale consecutiva. Perché dall’altra parte la banda di ragazzini terribili con alle spalle la reincarnazione dell’uomo col sigaro, non hanno la minima intenzione di mollare.