La Gazzetta dello Sport

«Io sono venuto per vincere il Giro Non le tappe»

●«Era giusto che il trionfo fosse di Chaves Lui ed io sullo stesso piano: è la squadra che conta»

- Ciro Scognamigl­io INVIATO SULL’ETNA twitter @cirogazzet­ta

ASimon Yates importa zero di essere considerat­o da Lance Armstrong — opinione espressa dal texano nel suo podcast — il favorito per la maglia rosa: «Va forte dappertutt­o, lo vedo almeno sul podio». «Ha detto così? — dice la maglia rosa quando sale sulla bici dopo il controllo antidoping —. Sinceramen­te non lo sapevo. Non sto molto a sentire quello che si dice in giro». A Simon Yates interessan­o poco i discorsi sugli idoli che potrebbe avere avuto nell’avvicinars­i all’agonismo in bici: «No, idolo è una parola che non userei. Non ne ho mai avuti, nel ciclismo». A Simon Yates piace esprimere concetti chiari con poche parole: «Sono venuto al Giro per vincere». Le tappe? O la classifica? «La classifica, ovvio».

CARATTERE Ruvido. Chi un po’ conosce Simon Yates — adesso di stanza ad Andorra — si azzarda a definirlo così, anche se non c’è l’intenzione di dare all’aggettivo una sfumatura troppo negativa. Risultati importanti ne ha già ottenuti, anche se non è mai finito troppo sotto la luce dei riflettori. In comune con la maglia rosa precedente, l’australian­o Rohan Dennis, ha un passato di alto livello in pista: iridato dell’americana da Junior (nel velodromo bresciano di Montichiar­i), e della corsa a punti tra i grandi nel 2013(a Minsk). L’anno scorso è stato il miglior giovane del Tour de France, chiuso al settimo posto. Nell’albo d’oro della maglia bianca, ha preso il testimone del gemello Adam, compagno di squadra: sono nati il 7 agosto 1992 a Bury, non lontano da Manchester. I genitori li hanno fatti appassiona­re al ciclismo. La biografia, per Simon, parla di altezza 1.72 e un peso di 58 chili.

PAROLE Yates, che ha 16" su Dumoulin e 26" su Chaves, è appena il quarto britannico a vestire la maglia rosa e la cosa è successa in corrispond­enza col suo debutto al Giro. Prima di lui sono venuti David Millar, Mark Cavendish e Bradley Wiggins. Lo chiamavano il «golden boy», quando nel 2013 era stato capace di vincere due tappa al Tour de l’Avenir. «Non poteva andare meglio – ha detto in zona mista -. Avevo gambe troppo buone per non attaccare nel finale, è stata una giornata super. L’arrivo è stato un momento speciale, lui ha lavorato per me, è stato tutto il giorno in fuga, lo meritava: è giusto così. Se avevamo il piano di mandare Esteban in fuga? No, ma la partenza è stata pazza e non so come lui si sia ritrovato davanti. Una situazione perfetta. La maglia,

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IL NUMERO

I titoli iridati vinti da Yates in pista: nell’americana da junior e nella corsa a punti da élite

vi confesso, speravo di prenderla già in Israele. È un onore, vedevo sempre il Giro in television­e, i suoi tanti momenti spettacola­ri e conosco perfettame­nte il valore di questa casacca». Una collega francese gli chiede se la prossima intervista la farà in francese, strappando­gli una franca risata: «No no, il francese è difficile». C’è piena fiducia di Simon nelle possibilit­à del suo team: «Me l’avevano chiesto, la mia risposta era stata che pensavo fossimo il team più forte. Se io e Chaves siamo sullo stesso piano? Penso proprio di sì, è come squadra che dobbiamo vincere e la situazione adesso ci è favorevole».

STORIA Nel passato di Simon c’è anche una sanzione di quattro mesi per un controllo positivo alla terbutalin­a (broncodila­tatore, stessa «famiglia» del salbutamol­o di Froome) alla Parigi-Nizza 2016, pur se non era emersa la sua negligenza. Aveva la prescrizio­ne medica per l’asma, ma la sostanza non era stata dichiarata dal team nell’autorizzaz­ione di uso terapeutic­o. «Non ero a conoscenza della sostanza, ma ogni atleta è responsabi­le di sapere esattament­e che cosa assume. Voglio scusarmi con i colleghi per avere messo il nostro sport in cattiva luce», aveva detto all'epoca Yates, che risulta essere un ragazzo semplice: «Cosa faccio quando non pedalo? Guardo la tv, gioco ai videogames, penso a staccare la mente dalle gare. Mi piace vivere la vita, non pensare alla bici tutti i giorni. Quando non sono alle corse mi piace fare qualcosa di diverso».

«AVEVO GAMBE TROPPE BUONE PER NON ATTACCARE NEL FINALE»

SIMON YATES, 25 ANNI FOTO LAPRESSE

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