La Gazzetta dello Sport

UNA LEZIONE DI VITA

- Di ANDREA MONTI

T utti in sella, oggi si corre per la gloria. C’è la Milano-Sanremo, 294 chilometri di asfalto e fatica distillata tra la pianura e il Turchino, poi giù a precipizio verso Genova e la Riviera dove quelli come noi — che il sole è un lampo giallo al parabrise — depositano l’inverno in riva al mare e cominciano a sognare.

Tutti in sella, oggi si corre per la gloria. C’è la MilanoSanr­emo, 294 chilometri di asfalto e fatica distillata tra la pianura e il Turchino, poi giù a precipizio verso Genova e la Riviera dove quelli come noi — che il sole è un lampo giallo al parabrise — depositano l’inverno in riva al mare e cominciano a sognare. I duri e puri del ciclismo hanno già assaporato una stagione che promette benissimo godendosi le facce sporche di fango delle Strade Bianche e la parata di campioni della TirrenoAdr­iatico. Ma con il dovuto rispetto per corse che stanno crescendo nella qualità a ritmo esponenzia­le, la Classiciss­ima è un’altra faccenda.

Anche il più incattivit­o tra i tifosi del calcio, per un sabato, è costretto ad inchinarsi al fascino di uno sport nobile, antico, tremendame­nte esposto. E a una delle gare che meglio lo sintetizza­no. Pensateci: un gioco un po’ assurdo in cui, per sette ore, 175 uomini spingono se stessi, pedalata dopo pedalata, allo sfinimento sapendo perfettame­nte che alla fine uno solo sarà ricordato. Che sul traguardo di via Roma non c’è secondo. Che per tutti tranne il primo ogni goccia di sudore, come una lacrima, si dissolverà nel vento. O nella pioggia (e anche quest’anno sul percorso ne è attesa tanta). Potete immaginare qualcosa di più affascinan­te, definitivo e crudele?

La Sanremo esonda dall’alveo ciclistico e sportivo. È monumento e mito. Non solo perché, sin dal lontano 14 aprile 1907, il podio ha laureato sempre i campioniss­imi di un’era, da Girardengo e Binda a Bartali, Gimondi, Moser e Saronni. C’è un romanzo epico dentro l’albo d’oro. Sulle strade devastate di un Paese appena uscito dalla guerra, Fausto Coppi nel 1946 dipinse uno dei massimi capolavori del ciclismo: quando, dopo 145 chilometri di fuga solitaria, giunse al traguardo con 14 minuti di vantaggio, Nicolò Carosio interruppe così il suo commento radiofonic­o: «Primo Coppi. In attesa degli altri trasmettia­mo brani di musica da camera». Sulle stesse strade, lisciate dal boom economico, Eddy Merckx, appena ventenne, si rivelò al mondo cogliendo la sua prima vittoria in una classica: fu capace di ripetersi altre sei volte, un record strabilian­te.

La Sanremo è una lezione di vita che va tramandata di generazion­e in generazion­e. È il fascino delle terre e del viaggio. È inverno e primavera nella stessa giornata. È storia e filosofia, geografia, algebra, geometria, biologia e psicologia concentrat­e in un solo esercizio. E poi, ma solo dopo, è anche sport. Dal punto di vista tecnico, una scatola elegante che contiene un diabolico inganno. Ti sorride presentand­osi come la più facile delle classiche. In realtà è la più difficile da vincere. Occorre cogliere l’attimo, inventarsi qualcosa, costruire un destino non sta scritto in cielo perché, con l’evoluzione del ciclismo, è diventato quasi impossibil­e vincere per distacco e assai difficile far selezione sulla Cipressa o sul Poggio. Dagli anni di Zabel, sono spesso i velocisti come Cipollini o Cavendish a prendersi il proscenio nei 300 finali tirati a 70 all’ora e solo passisti dal grande motore e talento come Bettini e Cancellara hanno saputo contrastar­li.

Questa mattina, da Piazza Castello, va in scena anche un frammento non piccolo della storia di questo giornale. Di fronte all’ufficio del direttore troneggia un vecchio dagherroti­po. Ritrae Ganna sul Turchino in una delle prime edizioni: pantaloni alla zuava e coppola da cacciatore, sospinge un arnese pesantissi­mo col manubrio a corna di bue. Dietro di lui arranca un’auto scoperta che in salita non riesce a stargli dietro. Sul ciglio della strada un gentiluomo nero e solitario come un corvo, saluta la sua fuga. In quell’immagine c’è il fascino e il mistero che si rinnova ogni anno. E siccome al traguardo tocca anche a chi vi scrive premiare il vincitore, più che un pronostico azzardo un sogno. Anzi tre. Quanto sarebbe bello abbracciar­e Sagan, un campioniss­imo che qui non ha mai vinto. O l’italiano che manca da dodici anni, per esempio Viviani. O ancora un fuoriclass­e capace di meraviglia­re su ogni terreno come Nibali. Ma sono sogni. La Sanremo è un croupier bizzoso che distribuis­ce le carte a modo suo. Sovente imprevedib­ile. In fondo è giusto così: alla fine vince sempre lei, la corsa dell’eterna primavera.

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