UNA LEZIONE DI VITA
T utti in sella, oggi si corre per la gloria. C’è la Milano-Sanremo, 294 chilometri di asfalto e fatica distillata tra la pianura e il Turchino, poi giù a precipizio verso Genova e la Riviera dove quelli come noi — che il sole è un lampo giallo al parabrise — depositano l’inverno in riva al mare e cominciano a sognare.
Tutti in sella, oggi si corre per la gloria. C’è la MilanoSanremo, 294 chilometri di asfalto e fatica distillata tra la pianura e il Turchino, poi giù a precipizio verso Genova e la Riviera dove quelli come noi — che il sole è un lampo giallo al parabrise — depositano l’inverno in riva al mare e cominciano a sognare. I duri e puri del ciclismo hanno già assaporato una stagione che promette benissimo godendosi le facce sporche di fango delle Strade Bianche e la parata di campioni della TirrenoAdriatico. Ma con il dovuto rispetto per corse che stanno crescendo nella qualità a ritmo esponenziale, la Classicissima è un’altra faccenda.
Anche il più incattivito tra i tifosi del calcio, per un sabato, è costretto ad inchinarsi al fascino di uno sport nobile, antico, tremendamente esposto. E a una delle gare che meglio lo sintetizzano. Pensateci: un gioco un po’ assurdo in cui, per sette ore, 175 uomini spingono se stessi, pedalata dopo pedalata, allo sfinimento sapendo perfettamente che alla fine uno solo sarà ricordato. Che sul traguardo di via Roma non c’è secondo. Che per tutti tranne il primo ogni goccia di sudore, come una lacrima, si dissolverà nel vento. O nella pioggia (e anche quest’anno sul percorso ne è attesa tanta). Potete immaginare qualcosa di più affascinante, definitivo e crudele?
La Sanremo esonda dall’alveo ciclistico e sportivo. È monumento e mito. Non solo perché, sin dal lontano 14 aprile 1907, il podio ha laureato sempre i campionissimi di un’era, da Girardengo e Binda a Bartali, Gimondi, Moser e Saronni. C’è un romanzo epico dentro l’albo d’oro. Sulle strade devastate di un Paese appena uscito dalla guerra, Fausto Coppi nel 1946 dipinse uno dei massimi capolavori del ciclismo: quando, dopo 145 chilometri di fuga solitaria, giunse al traguardo con 14 minuti di vantaggio, Nicolò Carosio interruppe così il suo commento radiofonico: «Primo Coppi. In attesa degli altri trasmettiamo brani di musica da camera». Sulle stesse strade, lisciate dal boom economico, Eddy Merckx, appena ventenne, si rivelò al mondo cogliendo la sua prima vittoria in una classica: fu capace di ripetersi altre sei volte, un record strabiliante.
La Sanremo è una lezione di vita che va tramandata di generazione in generazione. È il fascino delle terre e del viaggio. È inverno e primavera nella stessa giornata. È storia e filosofia, geografia, algebra, geometria, biologia e psicologia concentrate in un solo esercizio. E poi, ma solo dopo, è anche sport. Dal punto di vista tecnico, una scatola elegante che contiene un diabolico inganno. Ti sorride presentandosi come la più facile delle classiche. In realtà è la più difficile da vincere. Occorre cogliere l’attimo, inventarsi qualcosa, costruire un destino non sta scritto in cielo perché, con l’evoluzione del ciclismo, è diventato quasi impossibile vincere per distacco e assai difficile far selezione sulla Cipressa o sul Poggio. Dagli anni di Zabel, sono spesso i velocisti come Cipollini o Cavendish a prendersi il proscenio nei 300 finali tirati a 70 all’ora e solo passisti dal grande motore e talento come Bettini e Cancellara hanno saputo contrastarli.
Questa mattina, da Piazza Castello, va in scena anche un frammento non piccolo della storia di questo giornale. Di fronte all’ufficio del direttore troneggia un vecchio dagherrotipo. Ritrae Ganna sul Turchino in una delle prime edizioni: pantaloni alla zuava e coppola da cacciatore, sospinge un arnese pesantissimo col manubrio a corna di bue. Dietro di lui arranca un’auto scoperta che in salita non riesce a stargli dietro. Sul ciglio della strada un gentiluomo nero e solitario come un corvo, saluta la sua fuga. In quell’immagine c’è il fascino e il mistero che si rinnova ogni anno. E siccome al traguardo tocca anche a chi vi scrive premiare il vincitore, più che un pronostico azzardo un sogno. Anzi tre. Quanto sarebbe bello abbracciare Sagan, un campionissimo che qui non ha mai vinto. O l’italiano che manca da dodici anni, per esempio Viviani. O ancora un fuoriclasse capace di meravigliare su ogni terreno come Nibali. Ma sono sogni. La Sanremo è un croupier bizzoso che distribuisce le carte a modo suo. Sovente imprevedibile. In fondo è giusto così: alla fine vince sempre lei, la corsa dell’eterna primavera.