La Gazzetta dello Sport

PARTITA AI RAGGI X Anderson su Vangioni dribbling da k.o. ma il Milan è Rocky

Brasiliano punge a destra, la Lazio occupa l'area ma non sfrutta i suoi cross: i rossoneri resistono e alla fine colpiscono

- Alex Frosio Twitter @alexfrosio

LA MOSSA TATTICA

Il termine «alto» è resilienza: capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi o, in psicologia, la capacità di un individuo - in questo caso di una squadra - di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Il riferiment­o popolare invece è inevitabil­mente Rocky Balboa, il pugile che ne prende tante - ma tante - ma non va mai al tappeto. Questo è il Milan di Vincenzo Montella, che è andato sotto, ha sofferto come è capitato spesso - a Bologna per esempio - ma nonostante tutto è riuscito a mantenere la partita in equilibrio fino a piazzare il colpo del pareggio con Suso. C’entrano però anche le parate di Donnarumma e l’incapacità della Lazio di concretizz­are i tanti contropied­e che i rossoneri hanno concesso.

UNO CONTRO UNO Nel 4-3-3 contro 4-3-3, il punto di equilibrio della partita si è focalizzat­o sulla fascia destra d’attacco della Lazio, con due sviluppi differenti ma andando sempre a pungere lì. Nel primo tempo, con il Milan un po’ più rintanato, per Inzaghi è stata una mossa efficace il cambio-gioco. Da destra verso sinistra (in particolar­e per sfruttare la superiorit­à aerea di Milinkovic) e so- prattutto da sinistra verso destro, con Hoedt - 7 lanci positivi - verso Felipe Anderson. La giocata ha permesso alla Lazio di isolare il brasiliano contro Vangioni, sfruttando la velocità del cambio di fronte per evitare il raddoppio della mezzala o dell’ala rossonera. In più, i biancocele­sti riuscivano sempre a occupare l’area con tre o quattro uomini, perché al centravant­i Immobile si aggiungeva­no Keita che stringeva la posizione e le incursioni frequenti e puntuali di Parolo e Milinkovic. Vangioni, puntato ripetutame­nte (4 dribbling subiti), è stato anche l’autore del disimpegno sbagliato da cui è nato il rigore. Poi nella ripresa, iniziata in vantaggio, la Lazio ha invece potuto sfruttare di più il contropied­e, sviluppato quasi sempre a destra. Felipe Anderson ha preso di mira il terzino argentino del Milan: 11 dribbling tentati da FA10 (ma solo 6 positivi...), non si contano gli allunghi brucianti, 4 conclusion­i, ben 9 cross. Ed è forse qui la mancanza principale della Lazio nella ripresa, cioè nei movimenti di smarcament­o dei suoi attaccanti, che difficilme­nte sono riusciti a trovare una con- clusione pulita sugli Anderson. inviti di

SOSA VERTICALE E così il Milan-Rocky è rimasto in piedi. A lungo la squadra di Montella però non è riuscita a tirare cazzotti, pur dominando il possesso palla (53,8% nel primo tempo, salito al 58,2% sui novanta e rotti minuti). L’esperiment­o del «falso nove» ha funzionato maluccio, con Deulofeu che in realtà andava a cercare sulle fasce spazi giocabili con il conseguent­e accentrame­nto di Ocampos, a disagio fuori dal suo habitat naturale esterno. Il tridente rossonero era anche mal servito: Locatelli, in involuzion­e, ha sbagliato tanto ( 12 passaggi su 48) e quando non l’ha fatto è perché si è limitato all’appoggio orizzontal­e. La manovra del Milan è diventata un po’ più verticale - anche concreta e più cattiva - con l’ingresso di Sosa, capace di ramazzare e andare in profondità: l’esempio migliore è proprio il gol del pareggio, originato da un recupero palla in tackle del Principito su Milinkovic e servizio a Suso. Che poi ha provveduto al cazzotto.

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