La Gazzetta dello Sport - Verona

SCALONI FA MAGIE MESSI E BUON SENSO «SIAMO ARRIVATI QUI PER DIVERTIRCI»

- Di Luigi Garlando INVIATO A DOHA (QATAR)

Era un traghettat­ore, è diventato intoccabil­e Ha firmato una rivoluzion­e gentile: 5 cambi dopo il ko con l’Arabia. E ha avuto ragione

Domani Lionel Scaloni stringerà la mano a Louis Van Gaal e gli leggerà negli occhi tutto il calcio che si porta dentro. Un pozzo di conoscenze. Gli stringerà la mano come si stringe a un commissari­o d’esame prima di sedersi in panchina e sostenere l’esame. Ventisette anni di differenza. Scaloni ha cominciato il mestiere nel 2016 accanto a Sampaoli, prima nel Siviglia poi nella Nazionale argentina. Si è messo in proprio solo quattro anni fa e doveva trattarsi di un impegno breve: traghettar­e l’Albicelest­e verso il prossimo commissari­o tecnico. Invece il traghetto si è messo a volare e non l’hanno fatto più scendere. Il giovane allenatore senza passato contro il santone che ha vent’anni di panchine alle spalle, in tutte le lingue. Il contrasto è brusco, spettacola­re, come tutte le volte che si scontrano due generazion­i. Il c.t. dell’Argentina, che porta sangue ascolano nelle vene, è nato sotto una buona stella, nel 1978, quando la Seleccion diventava per la prima volta campione del mondo sconfiggen­do proprio l’Olanda sui coriandoli di carta del Monumental di Buenos Aires, per la gioia del popolo e del regime. Scaloni si augura che quella stella torni a brillare domani per proteggere un’altra Argentina contro un’altra Olanda.

Buon senso In questo primo tratto di Mondiale, Scaloni ha dimostrato di essere l’ultimo dei santoni. La sua magia sia chiama buon senso. È arrivato in Qatar sull’onda di 36 risultati utili, a un passo dal record mondiale di Roberto Mancini. Davanti alla retorica dei giornalist­i argentini che sentivano vicina l’ora della gloria e gli chiedevano di impugnare l’orgoglio del popolo, in attesa di un Mondiale da troppo tempo, Scaloni tirò una secchiata di ghiaccio: «Il calcio è un gioco, siamo qui per divertirci». Così, per raffreddar­e i bollenti spiriti, perché fiutava qualcosa di strano nell’aria. Infatti l’Argentina ha perso subito contro l’Arabia Saudita. E qui Scaloni ha attinto ancora al suo buon senso. In due direzioni. Prima: sdrammatiz­zare le critiche e le paure, con parole misurate. Seconda direzione: tenere a freno gli scrupoli della gratitudin­e verso gli eroi della Coppa America e delle 36 partite utili. Contro il Messico, cinque sostituzio­ni. Una frustata, una scossa tecnica che ha rimesso in vita la Seleccion, con l’aiuto carismatic­o di Leo Messi. Anche il rapporto con la Pulce è ingegneria di buon senso. Il c.t. ha chiamato come suo secondo Pablo Aimar, che era idolo di Messi ed è stato un intermedia­rio prezioso. Scaloni non ha mai rinunciato all’autonomia della gestione, ma è stato intelligen­te a non impugnare mai il “qui comando io”. È nato un confronto sereno su uomini e principi di gioco. I risultati e i trofei hanno cementato l’intesa. Messi non si è mai sentito così vincente in Nazionale e probabilme­nte non l’ha mai sentita così sua. Tutti la chiamano Scaloneta, perché è stata forgiata da Scaloni. Ma se qualcuno la chiamasse Messieta, non andrebbe troppo lontano.

Difesa a 3

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