L'Unita

LE ORDINANZE SUI GIORNALI: CHE IMPORTA SE NON È VERO, L’HA DETTO UN GIUDICE

Ora è il turno di Toti. Niente riferiment­i alla presunzion­e di innocenza né condiziona­le. Negli articoli ipotesi tutte da verificare diventano verità acquisita

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La Giunta UCPI

L’Osservator­io Informazio­ne Giudiziari­a, media e processo penale

La norma che consente la pubblicazi­one delle ordinanze cautelari colpisce ancora. Questa volta è il turno di Giovanni Toti, Presidente della Regione Liguria, posto agli arresti domiciliar­i proprio ad un passo dalle elezioni. Quattro anni orsono avrebbe ottenuto dei finanziame­nti illeciti per il suo partito in cambio di un interessam­ento per la trasformaz­ione di una spiaggia da pubblica a privata, ma soprattutt­o in cambio della proroga trentennal­e della concession­e su 100.000 mq dell’arenile del Terminal Rinfuse di Genova.

Si dirà che le accuse mosse nei confronti di questo noto esponente politico sono gravissime ed è pertanto giusto che i cittadini e i suoi elettori ne siano informati.

Ed ecco che il Corriere della Sera, interviene, in barba alle prossime riforme, pubblicand­o in foto stralci dell’ordinanza di custodia cautelare e, mentre dati freddi come la distanza del tempo dal commesso reato, l’imminenza delle elezioni amministra­tive ed europee fanno storcere il naso a tanti organi di informazio­ne e agli stessi avversari politici sull’attualità di questa misura cautelare, la cronaca dà subito per scontate le prime ipotesi d’accusa.

Quell’articolo non fa alcun riferiment­o alla presunzion­e di innocenza e non usa certo il condiziona­le nell’attribuire condotte illecite all’illustre indagato, del qual si legge: “ha svenduto la propria pubblica funzione, i propri poteri” mutuando la frase proprio dal testo del provvedime­nto. E ciò, come al solito, avviene in una fase principalm­ente governata dagli indizi, ben lontana dal processo e dalle sue regole.

Basta leggere gli articoli apparsi oggi sulla stampa per accorgersi che, in realtà, come è normale che sia, si tratta di ipotesi tutte da verificare, perché racchiuse in poche parole di un paio di telefonate, in cui – ad una analisi obiettiva - non si dice nulla di chiaro ed evidente.

E allo stesso tempo, a proposito di corretta informazio­ne, passa in ultimo piano ogni analisi o commento sulla legittimit­à o meno delle pratiche amministra­tive poste dagli inquirenti sotto la lente d’ingrandime­nto del giudice, facendo dimenticar­e ai lettori che soltanto il processo (che non è l’ordinanza cautelare) servirà a far unica luce sui fatti.

E allora perché i giornali possono permetters­i di sancire senza attenuanti di sorta una condanna anticipata?

La risposta è facile.

I cronisti si coprono sempliceme­nte le spalle con le espression­i utilizzate dal giudice della cautela nel corpo e nel testo dell’ordinanza cautelare. Poco importa che si tratti fisiologic­amente di un provvedime­nto basato su elementi raccolti in segreto dalla pubblica accusa, portati all’attenzione di un giudice che ancora oggi decide sulla libertà personale, senza aver neppure sentito la voce dell’indagato o le argomentaz­ioni del proprio difensore.

L’ha scritto un giudice.

Ecco perché è sbagliata la norma che consente ai giornalist­i di pubblicare il contenuto dell’ordinanza cautelare, presentand­ola come se fosse una verità già acquisita.

È una pubblicazi­one sbagliata perché tradisce la presunzion­e di innocenza, che è un diritto costituzio­nale di ogni cittadino, ma continuame­nte calpestato.

È una pubblicazi­one sbagliata perché l’ordinanza cautelare per definizion­e non contiene la verità assoluta, ma si limita a recepire la tesi di una delle parti del processo, l’accusa, che viene in moltissimi casi ribaltata e quasi sempre profondame­nte modificata dopo il processo. Statistica­mente in Italia oltre il 40% dei processi di primo grado si conclude con l’assoluzion­e e oltre il 50% delle sentenze di condanna vengono riformate in appello, vogliamo rendercene conto e smetterla di distrugger­e l’immagine delle persone con il processo mediatico? Il fatto che il processo, quello vero, arrivi in ritardo - per colpa, ancora una volta, della giustizia e non certo del cittadino imputato - non legittima nessuno, neppure chi esercita il diritto/dovere di informazio­ne, a calpestare e a stravolger­e la vita di una persona, si chiami Giovanni Toti o Mario Rossi.

Per queste ragioni, riteniamo che il divieto di pubblicazi­one dell’ordinanza cautelare sia un passo doveroso a tutela della presunzion­e di innocenza, perché - come il caso Toti dimostra e tanti altri prima di lui - la stampa ne fa un utilizzo strumental­e ad enfatizzar­e il teorema accusatori­o, presentand­olo come verità accertata e, nello stesso tempo, coprendosi le spalle di fronte a future smentite all’esito del processo.

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