Se l’arte finisce in portafoglio (e diventa un affare da gestori)
Il «peso» finanziario è il secondo fattore, dopo quello emotivo, che guida un collezionista nell’acquisto di opere. E le grandi maison creano fondi e servizi per operatori e clienti
L’antico detto «al cuor non si comanda» sembra essere in parte disatteso dal comparto dei cosiddetti beni rifugio o alternativi. O almeno, questo è ciò che sembra stia accadendo nelle tendenze del mercato attuale.
Come tutti gli investimenti che includono un valore emotivo, oltre che economico, quello in opere d’arte presenta all’apparenza aspetti che lo separano da una tradizionale operazione finanziaria. Eppure negli ultimi anni è sempre più presente la necessità di un’analisi prettamente quantitativa, basata su statistiche, andamenti e previsioni future. Non è detto che sia necessariamente uno svantaggio, anzi. Infatti, nonostante la sua natura sentimentale, l’arte è una asset class sempre più affidabile. Secondo l’index for fine Art di Artnet, malgrado l’inflazione e i tassi di interesse in aumento dal 2022, in questi mesi l’arte ha sofferto meno di altri settori. Questo dimostra la sua capacità di essere un investimento in grado di tutelare il patrimonio in tempi incerti. Soprattutto se si tratta di opere blue chip, le più costose, i lavori più rappresentativi degli artisti più importanti.
I numeri e le pratiche
Se si ha a disposizione il capitale per investire in questa fascia, allora l’arte può davvero essere una concreta soluzione per diversificare il portafoglio, proteggersi dall’inflazione e attendere un ritorno sugli investimenti. Non a caso, se per i collezionisti il valore emozionale rimane il fattore chiave per l’acquisto di opere d’arte (lo afferma il 60%), per la prima volta in 12 anni il 41% ha dichiarato a Deloitte che il valore finanziario è la loro motivazione primaria, superando il valore sociale (36%). E questo tipo di operazione è caldeggiata sempre più anche dai gestori patrimoniali (oggi il 60% consiglia l’investimento, contro il 50% nel 2021) e dai family office (62% contro 39% nel 2021).
D’altronde, il carattere specifico di questi asset permette ai wealth manager di creare un rapporto unico con il cliente, basato su aspetti personali oltre che su considerazioni finanziarie. Si tratta di incorporare le passioni dei clienti nella gestione del loro patrimonio, ma in maniera più consapevole e programmata, in modo da diradare l’opacità
che da sempre accompagna il mercato dell’arte. In tal senso, la nota casa d’aste Christie’s ha lanciato Christie’s Ventures — un fondo di investimenti che fornisce risorse finanziarie e supporto di esperti a organizzazioni operanti nel settore tecnologico e fintech, per l’elaborazione di soluzioni rilevanti nel mercato dell’arte — e il servizio Christie’s Art Finance, a supporto dei clienti che cercano soluzioni per monetizzare il valore delle proprie opere d’arte. Sotheby’s ha cominciato a offrire servizi di prestito ai collezionisti attraverso il proprio ramo di Financial Services, sulla base del valore della collezione dei propri clienti. Anche Phillips ha di recente lanciato una branch per servizi fiduciari, oltre ad aver esteso il programma di Selling Exhibitions internazionale Phillipsx e incentivato il comparto delle Private Sales.
Cresce il lusso
Contestualmente, fa passi da gigante il comparto del lusso, oggi integrato a quello dell’arte. Orologi, gioielli, vini, design e borse sono ormai protagonisti delle principali vendite di settore. Forse perché più facilmente valutabili, e quindi meno sensibili a oscillazioni nel futuro, i Passion Assets sono sempre più oggetto del desiderio di vecchi e nuovi collezionisti.
Alcuni dati significativi in tal senso: Phillips ha registrato il tutto venduto nelle aste online di orologi nel 2023 e una crescita del +45% per le aste di Design; Christie’s ha aggiudicato il diamante The Bleu Royal, una pietra da 17,61 carati, il più grosso diamante blu mai venduto in asta, per 44 milioni di dollari; Sotheby’s ha invece ceduto una Ferrari 250 GTO del 1962 per 51,7 milioni di dollari.
Nel campo largo del collezionismo, l’arte non è più solo pittura e un investimento non è più (solo) una questione di cuore. Quindi quali sono i consigli da offrire e le tendenze del futuro mercato? Un vecchio mercante newyorchese amava ripetere che «l’arte contemporanea sta all’arte antica come gli hedge fund alle obbligazioni svizzer». Oggi bisognerebbe aggiungere tutto il comparto del collezionismo Luxury.
Insomma con la passione (ben guidata) dell’arte è sempre più possibile guadagnare oltre che sognare. Chissà se la ricerca di buoni investimenti sarà sempre più correlata alla qualità della nostra vita. Forse il mercato dell’arte sta aprendo un’inedita finestra sul futuro.