Dollaro ballerino fino alle elezioni Le chance della corona norvegese
Imovimenti relativi dei tassi a breve termine sono una delle variabili chiave che muovono i cambi. Se Jerome Powell, alla guida della Fed, sarà più lento ad avviare la normalizzazione rispetto alla sua controparte europea, Christine Lagarde, non significa però che il dollaro sia destinato ad apprezzarsi rispetto alla moneta unica. «Da qui alle elezioni presidenziali, mi aspetto semmai un biglietto verde relativamente debole rispetto all’euro — spiega
Francesco Pesole, strategist valutario di Ing — i mercati, infatti dovranno sintonizzarsi su una traiettoria di tagli più ripida negli Stati Uniti di quanto sia attualmente espresso nei prezzi».
Dopo il voto, poi, bisognerà fare di nuovo i conti: «Se il candidato repubblicano dovesse avere la meglio, allora l’euro perderebbe un po’ di quota sul dollaro americano. Una nuova presidenza Trump avrebbe infatti un’impronta inflazionistica, negativa per l’europa e più in generale per l’appetito al rischio degli investitori». Segnalerebbe che lo spazio di riduzione dei tassi, l’anno prossimo, verrà ridimensionato. Al tempo stesso, l’inizio dei tagli dovrebbe favorire le divise dei Paesi che «sono in ritardo nella retromarcia sui tassi: per esempio l’australia, la Nuova Zelanda e la Norvegia», annota Pesole. Al contrario, le divise come la corona svedese e il franco svizzero sono ritenute meno attraenti: in entrambi i Paesi, infatti, la banca centrale è già intervenuta al ribasso sui tassi. E se invece avesse ragione chi teme che la Fed sia destinata a temporeggiare, allontanando l’inizio della manovra espansiva? «Possiamo aspettarci un biglietto verde più forte — rileva Antonio Cavarero, responsabile investimenti di Generali am —. Questo, a sua volta avrebbe conseguenze negative per i mercati emergenti, sia sul fronte azionario che obbligazionario».