E IL POPOLO DISSE: POPULISTA SARÀ LEI
Sull’uso dei fondi europei la discussione c’è ma non si vede. Le posizioni restano quasi incomprensibili a tutti noi, il «popolo» sempre evocato e spesso a sproposito. Le cose che si capiscono sono tre: l’attivismo delle lobby, la contrapposizione fra misure assistenziali e misure di sviluppo, le difficoltà di coordinamento. In un mondo ideale, le scelte strategiche in materia d’innovazione tecnologica, ripensamento organizzativo, scuola, salute e ambiente dovrebbero essere lo spazio centrale in cui operare e l’obiettivo da raggiungere. Non un’aggiunta all’assistenzialismo se rimane qualcosa. In Italia invece il rischio che vada a finire così non è scontato ma senza dubbio esiste. Servono, al contrario, piani organici, priorità chiare, collaborazione istituzionale. Ma qual è, a questo proposito, il ruolo delle regioni e delle città? Perché è proprio lungo l’«ultimo miglio» che si gioca la partita. Questa almeno è la tesi del gruppo di lavoro guidato dal sociologo Federico Butera, di cui fanno parte economisti ed esperti di innovazione tecnologica, tesi che si fonda sull’esperienza del Patto per il Lavoro 2015 in Emiliaromagna. Butera propone che la gestione del Recovery Fund passi attraverso alleanze tra amministrazioni regionali e metropolitane, imprenditori, sindacati e scuola, che abbiano come obiettivi l’occupazione, la crescita, l’istruzione e la sostenibilità ambientale. Come appunto si fece a Bologna cinque anni fa sotto la regia dell’economista ed ex assessore Patrizio Bianchi. Il Patto non fu un negoziato sulla spartizione delle risorse pubbliche postterremoto ma un accordo di sistema in cui le parti sociali assumevano reciprocamente degli impegni comuni. I risultati non mancarono non solo in termini di occupazione, calo degli abbandoni scolastici, potenziamento del sistema delle imprese, ma anche in termini elettorali, con il successo del governatore Bonaccini. Il popolo, che non è affatto bue, capì l’antifona. Potrebbe succedere ancora, anche fuori dall’emilia-romagna. Anzi, forse sta già succedendo.