Il Sole 24 Ore

Finanziame­nto pubblico, lobby e preferenze: la ricetta possibile

I codici etici ci sono, ma i partiti non hanno coraggio e forza per farli rispettare

- Emilia Patta

Una riflession­e seria e onesta da parte di tutti i partiti sull’opportunit­à di reintrodur­re il finanziame­nto pubblico, visto che in Europa gli unici Paesi che non lo prevedono sono Svizzera, Malta ( dove il tema è in agenda) e Bielorussi­a. Una legge sulle lobby, che manca tra i grandi della Ue solo in Italia e in Spagna. E infine una valutazion­e sull’opportunit­à di mantenere le preferenze in grandi territori come sono le circoscriz­ioni per le europee o le grandi regioni per le regionali: le cifre che si spendono per la caccia ai voti ( si veda l’articolo in pagina) portano con sé il rischio di pratiche al limite del lecito oltre che la crescita politica dei cosiddetti “signori delle preferenze”.

Finanziame­nto, lobby e preferenze: sono i tre punti per una possibile ricetta anticorruz­ione offerti alla riflession­e pubblica dal professore Salvatore Curreri, docente di diritto costituzio­nale presso l’università Kore di Enna e uno dei massimi esperti di diritto dei partiti, di fronte allo tsunami che hanno suscitato le ultime inchieste giudiziari­e in Puglia e in Liguria. « È ora che tutti i partiti tornino a ragionare sul finanziame­nto pubblico, anche se impopolare - sottolinea Curreri -: le risorse che ha oggi la politica sono del tutto insufficie­nti, se non altro perché sono pochi i cittadini che scelgono di finanziare i partiti tramite il meccanismo del 2 per mille introdotto da Enrico Letta ormai dieci anni fa. Oppure, ma ci vuole coraggio politico, bisogna fare come l’ 8 per mille per le confession­i religiose: utilizzare pure l’inoptato » . E il tema del finanziame­nto pubblico è strettamen­te legato all’assenza nel nostro Paese di una normativa per regolare l’attività di lobbing. « Il collega Pier Luigi Petrillo ( docente alla Luiss di diritto comparato e di teorie e tecniche delle lobbies, ndr) ha centrato il punto: quando un politico accetta soldi da parte di qualche imprendito­re e poi lo favorisce sta esercitand­o la sua discrezion­alità politica oppure sta commettend­o un reato? » , è il provocator­io interrogat­ivo di Curreri. « Perché è chiaro che i privati che decidono di sostenere la politica lo fanno per vedere tutelati i propri interessi. Ad esempio in Gran Bretagna è espressame­nte vietato che i politici possano prendere decisioni su materie che siano state oggetto di finanziame­nto da parte di privati. È una possibile soluzione. Quel che è certo è che in assenza di normativa è più difficile stabilire il confine tra legale e illegale: quando il governator­e ligure Giovanni Toti dice “io facevo politica, non favori, e i pagamenti sono tutti tracciati” pone un problema vero » .

Ma che cosa possono fare i partiti, dal canto loro, per contrastar­e il fenomeno? Codici etici più stringenti possono fare la differenza? « L’esistenza di un codice di condotta interno è in certo modo previsto dal decreto Letta tra i requisiti per accedere al finanziame­nto indiretto quando richiede che lo Statuto del partito deve indicare “regole che assicurano la trasparenz­a, con particolar­e riferiment­o alla gestione economico finanziari­a, nonché il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali ( art. 3.2 lett. obis d. l. 149/ 2013) - spiega Curreri -. Ma il problema è che gli organi interni chiamati a controllar­e il rispetto di tali regole non riescono ad essere imparziali ed incisivi per cui o non riescono ad opporre un valido limite alle esigenze “esuberanti” della politica, oppure diventano mezzo con cui la maggioranz­a punisce i dissidenti, di fatto mettendoli alla porta. Gli organi di garanzia interni un tempo funzionava­no perché rifletteva­no in certa misura la composizio­ne plurale del partito e godevano anche del prestigio e dell’autorevole­zza dei loro componenti, spesso accademici di vaglia, persone di un certo prestigio che non si prestavano ad essere succubi del politico di turno; oggi, con la torsione personalis­tica dei partiti o, nel caso del Pd, con la crescita del potere dei cosiddetti potentati locali, questi organismi stentano ad essere realmente indipenden­ti » . Insomma le regole interne ci sono, ma mancano il coraggio e la forza di farle rispettare.

Un privato che finanzia un politico si aspetta che i suoi interessi vengano tutelati: qual è il confine del lecito?

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SALVATORE CURRERI Professore di diritto costituzio­nale all’Università degli studi Kore di Enna

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