Quelle automobili europee delocalizzate in Oriente
Strategie e fabbriche
Il made in China che non ti aspetti. Qualcuno può, certamente, trasalire all’idea che un’auto inglese come la Mini sia costruita in Cina, ma poi, a mente fredda, si può anche comprendere che è un’automobile tedesca ( i padroni sono Bmw) viene assemblata dove più conviene produrre. L’iPhone è un super cool telefonino americano? Bene: è fatto in Cina. Il Samsung top di gamma S24? Costruito in Vietnam. Nessuno si scandalizza.
È la globalizzazione che non stupisce più di tanto quando si parla di device digitali culturalmente e ingegneristicamente connessi al manufacturing cinese. Ma quando si parla di auto scatta il legame territoriale, che ahimè non esiste più e forse non ha senso di esistere perché se compri un’Audi fatta a Barcellona, un’Alfa costruita in Polonia o una Seat costruita a Bratislava è solo una questione di logica industriale e non di qualità e identità del prodotto, non stiamo parlando di oggetti artigianali. Almeno non sempre ed ovvio che questa delocalizzazione in Cina sia protetta dai Ceo delle case europee che si oppongono ad dazi dalla Cina. Nonostante questo, e non considerando le logiche industriali e di allocazione degli stabilimenti, non si può non rimanere perplessi quando Honda, orgogliosamente giapponese, forse più di Toyota e Mazda per il legame che quest’ultima ha con Hiroshima e la Bomba, costruisce auto in Cina e, questo è il punto, le importa in Europa: non sono destinate al mercato locale, ampio e ricco. E viene importata l’intera gamma dei nuovi modelli della Grande H.
E che dire di Cupra, brand spagnolo nato da una costola di Seat e quindi del tedeschissimo gruppo Vw che costruisce il modello della sfida elettrica, la Tavascan, in Cina e la porta in Europa? er non parlare delle Tesla cinesi Model 3 e Y che invadono le strade del vecchio continente perché alla fine dei conti se devi comprare un’auto elettrica la scelta più logica resta quale di mettersi in box logica geografica di appartenenza nell’automotive e questo ha scollegato il legame tra brand e luogo di origine.
Una Mini, da anni, è più tedesca che inglese dal punto di vista industriale, ma non lo è da quello culturale, mentre una cinese BYD è forse più tedesca di quello che uno potrebbe aspettarsi: le vetture della casa cinese che ha battuto Tesla sui volumi delle cosiddette auto a nuova energia sono disegnate da un team internazionale diretto da Wolfgang Egger, il designer- star tedesco, allievo di Walter de Silva che ha creato Alfa Romeo da sogno come la 8C Competizione e, soprattutto, Audi che hanno fatto la storia e sono state, all’avanguardia della tecnica, anzi, per dirla come lo slogan dei Quattro anelli “Vorsprung durch Technik”. E per fare qualche altro esempio non va dimenticato che le molisane DR, sono delle 100% cinesi Chery modificate in qualche modo a Macchia di Isernia e che un brand inglese come MG è della cinese Saic. E lo stesso discorso vale per Polestar e alcune Volvo ( gruppo Geely) made in China e per le Smart prodotte in Cina in Jv tra Daimler e Geely
Insomma nell’auto globale si stanno mischiando le carte, e non da oggi.
La delocalizzazione in Cina gioca dunque un ruolo chiave nell’offerta di vetture soprattutto elettriche, ed è per anche per questo che i vertici di alcune case sono contrari a eventuali dazi . Tutto questo però non vuol dire che bisogna dare campo libero ai cinesi e alla loro esuberanza industriale. Forse andavano contenuti prima, forse il gruppo Volkswagen quando conquistò ( per poi perderlo) il mercato cinese con il taxi Vw Santana avrebbe dovuto guardare in avanti. E quasi certamente le joint venture produttive al 51% con partner locali che negli scorsi anni erano obbligatorie per vendere in Cina sono stati un terribile cavallo di Troia e ora il sistema automobilistico cinese forte di know- how assorbito dai gruppi europee e di una filiera hi- tech è in prima fila nelle tecnologie e nelle frontiere della guida autonoma e del software design vehicle.