L’iter per regolarizzare resta troppo intricato
Solo il diritto alla piena detrazione tutela davvero il cessionario in buona fede
L’errore di applicazione dell’Iva in fattura, che si determina il più delle volte per un’erronea e spesso difficile qualificazione dell’operazione certificata, porta ad una regolarizzazione ( realizzabile su volontà del cedente/ prestatore) ancor più complessa e normativamente del tutto superflua. Infatti, per previsione normativa la detrazione dell’Iva di una fattura ricevuta con imposta in eccesso prevista dall’articolo 6, comma 6, secondo periodo, Dlgs n. 471/ 1997, deve essere garantita a fronte dell’applicazione di una sanzione fissa prevista dalla stessa disposizione. tuata, con rettifica dell’Iva, solo entro un anno dall’operazione, non è obbligatoria e solo su decisione del cedente o prestatore.
Se il cessionario o il committente, soggetto passivo Iva, riceve e registra una fattura irregolare, è punito con la sanzione del 100% dell’eventuale maggiore Iva dovuta, con un minimo di 250 euro, a meno che non regolarizzi l’operazione, entro 30 giorni dalla sua registrazione:
inviando un’ « autofattura » elettronica al Sdi ( TD20);
versando la maggior Iva eventualmente dovuta ( codice tributo 9399) ( articolo 6, comma 8, Dlgs 471/ 1997).
Secondo la circolare 23/ E8560/ 1999, paragrafo 2.7, però, questa regolarizzazione di « fatture irregolari » è possibile solo per quelle con « un imponibile oppure un’imposta inferiore » e non per quelle con Iva in eccesso. Secondo la Cassazione, poi, il controllo richiesto al cessionario/ committente sulle fatture ricevute non deve essere sostanziale sulla corretta qualificazione fiscale dell’operazione, ma deve essere limitato alla sola « regolarità formale » della fattura ( Cassazione 2473/ 2017, 26183/ 2014 e 1841/ 2000), senza controllare la correttezza dell’aliquota applicata ( Ctr di Roma del 17 marzo 2005, n. 22).
OO