Via della Seta, il G7 impari dagli errori cinesi
Dalla trappola del debito per molti Paesi all’utilizzo non ottimale dei fondi
Il B3W, il piano di sviluppo infrastrutturale miliardario ispirato dagli Stati Uniti, nato sulla sabbia fine del G7 di Carbis Bay, in Cornovaglia, è ai primi vagiti. Non è chiaro quale forma prenderà, quando e come muoverà i primi passi.
Per questo, forse, andrebbe messa ben a fuoco la parabola della Belt& Road Initiative ( BRI) cinese, diventata ormai il faro supremo della pianificazione di Pechino.
Di anni, la BRI, ne ha compiuti otto, e la sua venuta al mondo è stata annunciata dal presidente Xi Jinping in persona, in un luogo ben più rude, le steppe del Kazakhstan.
Di fatto, è l’unico piano di intervento operativo che punta a coniugare sviluppo e geopolitica.
L’analisi dovrebbe partire dagli errori commessi e dalle difficoltà affrontate dalla Cina, seconda potenza mondiale, leader nel commercio e nell’attrazione degli investimenti globali, nell’utilizzare la BRI come strumento del suo Go Global, dell’internazionalizzazione dell’economia di Pechino, accelerando nel contempo lo sviluppo globale delle sue architravi finanziarie.
Piccolo particolare, ma essenziale: la moneta di Pechino non è convertibile. Si può fare la guerra al dollaro evitando di navigare nelle acque impervie dei mercati finanziari che decidono, per il dollaro è cosi, il valore della divisa?
Pechino ci sta ancora provando, a tenere insieme l’impossibile: alcuni errori strategici sono stati riparati, altri no, come accade in tutti gli esperimenti degni di questo nome. Nel 14° Piano quinquennale si parla di una BRI di qualità. Non a caso. Troppe risorse sono state orientate male, con fastidiosi effetti boomerang.
Non importa quanto si spende, ma come e in che progetti finiscono i fondi. In Malesia o Sri Lanka quelli cinesi sono finiti a un punto morto. La corsa ai fondi, quindi, non basta. Chi dove come e con chi. La corsa al dominio del globo esiste. La Cina si è lanciata, gli Usa di Joe Biden provano a fare muro, ma non è così facile.
C’è poi la geopolitica e la necessità di alcuni Paesi di non dipendere troppo dalla Cina, ecco perchè è iniziato l’effetto domino di alcuni Paesi che hanno aderito alla BRI. La grande Australia e la minuscola Samoa si sono già chiamate fuori, su circa 65 Paesi che hanno aderito al Grande Piano, il doppio quelli con una atteggiamento “di appoggio”.
Paesi strategici e spesso molto poveri dell’Asia e dell’Africa, ma anche dell’America Latina - l’Ecuador
La seconda potenza mondiale va all’assalto del globo ( e del dollaro) senza una moneta convertibile
è un caso da manuale - tutti finiti nella trappola del debito cinese.
Pechino ha continuato a finanziare Paesi strategici soprattutto per il suo bisogno di materie prime, in una spirale senza fine. Come ha osservato Paola Subacchi, docente di economia internazionale al Global Policy Institute della Queen Mary University di Londra, in occasione di un evento IAI, la Cina ha continuato a finanziare Paesi che non avevano alcun titolo, in base a contratti per giunta poco trasparenti e con l’effetto di allungare nel tempo il saldo del debito. Una prassi da evitare.
La pandemìa inoltre ha tagliato i fondi della BRI e costretto la Aiib, la Banca degli investimenti infrastrutturali ispirata da Pechino sei anni fa, a riconvertirsi dal green alla sanità. Infine, il coinvolgimento di Paesi dell’Europa e alle istituzioni mondiali, dalla Banca mondiale alla Adb, non è una pellicola che si riavvolge automaticamente. Usa, Giappone sono rimasti fuori. Osservatori. Ma gli altri, inclusi gli invitati al G7 come osservatori, ci sono tutti dentro.