Il Sole 24 Ore

La « messa alla prova » guarda ai reati puniti con il carcere fino a dieci anni

La commission­e ministeria­le per la riforma penale vuole estendere il raggio d’azione Dai giudici ampliata l’applicazio­ne in relazione agli altri riti alternativ­i

- Giovanbatt­ista Tona

Allargare il campo della sospension­e del processo con messa alla prova dell’imputato, per ottenere effetti deflattivi e promuovere la giustizia riparativa. Lo propone la commission­e per la riforma del processo penale, voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e presieduta da Giorgio Lattanzi. In particolar­e, nella relazione finale con le proposte di emendament­i al disegno di legge delega di riforma penale all’esame della commission­e Giustizia della Camera ( atto 2435), gli esperti della commission­e suggerisco­no di estendere l’ambito di applicabil­ità della messa alla prova a specifici reati per cui sia prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a dieci anni e che « si prestino a percorsi risocializ­zanti o riparatori, da parte dell’autore » .

Una proposta di estensione che segue il “successo” che l’istituto ha avuto dopo la sua introduzio­ne con la legge 67 del 2014 e che è in linea con la scelta di valorizzaz­ione fatta dalla giurisprud­enza, soprattutt­o nel rapporto tra messa alla prova e altri riti alternativ­i.

Come funziona

La sospension­e del processo con messa alla prova, che, se va a buon fine, porta all’estinzione del reato, è regolata dall’articolo 168- bis del Codice penale. Oggi l’istituto è riservato ai reati puniti con pena pecuniaria o detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, oltre che ad alcuni reati con pene massime più alte ( violenza o minaccia o resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a magistrato in udienza, violazione di sigilli, rissa, lesioni personali stradali, furto e ricettazio­ne); per lo più reati che non transitano dall’udienza preliminar­e.

Già dalle indagini preliminar­i e non oltre la dichiarazi­one di apertura del dibattimen­to ( se si svolge udienza preliminar­e entro la formulazio­ne delle conclusion­i, se è stato notificato decreto penale di condanna in sede di opposizion­e, se è stato emesso decreto di giudizio immediato entro 15 giorni dalla notifica), l’imputato può chiedere la sospension­e del processo per la messa alla prova, sottoponen­dosi a un programma a cui deve dare il consenso e che, senza il suo consenso, il giudice non può modificare, pena la nullità assoluta della sua decisione ( Cassazione 27249/ 2020).

La messa alla prova comporta la prestazion­e di condotte riparatori­e in favore della persona offesa, per eliminare le conseguenz­e dannose o pericolose del reato e, se possibile, il risarcimen­to del danno. Comporta anche - in una prospettiv­a rieducativ­a e riparativa in favore della comunità - l’affidament­o dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgiment­o di un programma che può implicare attività di volontaria­to di rilievo sociale, o il rispetto di prescrizio­ni. Deve anche prevedere il lavoro di pubblica utilità, che consiste in una prestazion­e non retribuita, affidata tenendo conto anche delle profession­alità e attitudini lavorative dell’imputato, di almeno 10 giorni, anche non continuati­vi, a favore della collettivi­tà.

Procedimen­to speciale

Il termine per formulare la richiesta di sospension­e del processo con messa alla prova è previsto dall’articolo 464bis, comma 2, del Codice di procedura penale, inserito tra le norme sui procedimen­ti speciali. Per questo i giudici di legittimit­à ribadiscon­o sempre che la sospension­e con messa alla prova produce effetti sostanzial­i, ma ha prevalente natura processual­e ( Cassazione 33660/ 2020), tanto che, se al momento dell’entrata in vigore dell’istituto il termine entro il quale poteva essere formulata la richiesta di ammissione era già decorso, essa non poteva essere più proposta.

Lo sbarrament­o temporale si applica anche quando, in appello, sia intervenut­a l’assoluzion­e per un reato ostativo alla richiesta e la conferma dell’accertamen­to di responsabi­lità solo per un altro reato per il quale avrebbe potuto essere formulata ( Cassazione 780/ 2021).

In appello la messa alla prova può tornare in gioco quando venga impugnato, insieme alla sentenza, anche il provvedime­nto di diniego di ammissione alla prova tempestiva­mente avanzata. Se, dopo il diniego, l’imputato sceglie il rito abbreviato, secondo recenti decisioni, non perde la facoltà di impugnare in appello la decisione per ottenere la messa alla prova ( Cassazione 30774/ 2020).

Questo orientamen­to si contrappon­e a quello prevalente in passato, per cui la scelta di un altro rito alternativ­o consumava la possibilit­à di riproporre la messa alla prova ( Cassazione 42469/ 2018).

Ora, nel diverso caso in cui il giudice revochi la sospension­e già concessa all’imputato accertando il venir meno dei presuppost­i con ordinanza emessa in base all’articolo 464- octies, i giudici di legittimit­à evidenzian­o che questo provvedime­nto è autonomame­nte impugnabil­e con ricorso per cassazione e il procedimen­to riprende solo dopo che siano spirati i termini per l’impugnazio­ne. Quindi se chiede l’abbreviato, l’imputato rinuncia tacitament­e a ricorrere contro la revoca e non ne potrà più denunciare i vizi negli ulteriori gradi di giudizio ( Cassazione 13747/ 2021).

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