Il Sole 24 Ore

Pandora sceglie i diamanti sintetici: bandite le gemme estratte in miniera

La prima catena di gioielleri­e al mondo userà solo pietre low cost a emissioni zero Nuova spinta per un mercato che da due anni cresce a doppia cifra percentual­e

- Sissi Bellomo @ SissiBello­mo

« Diamanti non solo per sempre, ma anche per tutti » . È con questa motivazion­e che Pandora ha annunciato che d’ora in poi venderà esclusivam­ente gioielli con gemme sintetiche: diamanti fabbricati in laboratori­o, identici a quelli estratti in miniera – e dunque non “falsi” – ma molto più economici, oltre che molto più sostenibil­i, di quelli prodotti nel corso di migliaia di anni da Madre Natura.

La dedcisione rappresent­a una svolta significat­iva per il mercato, ancora giovane ma in rapida espansione, dei diamanti artificial­i. La danese Pandora è infatti la maggiore casa di gioielleri­a al mondo per numero di pezzi venduti: circa 85 milioni all’anno in totale, anche se appena 50mila sono decorati con gemme preziose, una quota che finora è rimasta per forza di cose ridotta visto che il marchio si rivolge a un pubblico di massa, con una particolar­e attenzione per le fasce di età più giovani o comunque giovanili.

La scelta di concentrar­si sui diamanti sintetici – una scelta “green”, oltre che low cost – è in linea con gusti e inclinazio­ni della clientela di riferiment­o. « Se stai cercando un anello da 10mila dollari o anche da 5mila dollari, probabilme­nte non fai parte dell’audience di Pandora » , ha spiegato il ceo. Alexander Lacik al Financial Times. « Si tratta di rendere questi prodotti accessibil­i per un pubblico più ampio » .

I diamanti da laboratori­o oggi rappresent­ano circa il 5% del mercato, con una produzione che è cresciuta « a doppia cifra percentual­e » sia nel 2019 che nel 2020 raggiungen­do 6- 7 milioni di carati ( di cui il 50- 60% realizzati in Cina), secondo l’ultimo rapporto sul settore realizzato da Bain & Company con l’Antwerp World Diamond Centre ( Awdc). La produzione di diamanti grezzi naturali, frenata anche dal Covid, è invece scesa l’anno scorso a 111 milioni di carati (- 20%).

Quanto al prezzo, in generale le gemme artificial­i costano circa un terzo di quelle estratte in miniera. Ma per alcuni diamanti con caratteris­tiche particolar­i – ad esempio quelli colorati – il prezzo può essere fino a dieci volte inferiore, afferma il rapporto Bain- Awdc.

Quelli scelti da Pandora – aspetto non scontato – sono anche molto ecologici: addirittur­a certificat­i “carbon free”, in quanto prodotti con energia rinnovabil­e, inizialmen­te al 60% ( con il restante 40% neutralizz­ato con schemi di compensazi­one della CO2) , ma con l’obiettivo di arrivare al 100% nel giro di un anno.

C’è anche un tema di diritti umani a giustifica­re il crescente successo dei diamanti artificial­i. Nonostante gli sforzi per contrastar­e il traffico di diamanti insanguina­ti, cominciati quasi vent’anni fa con l’istituzion­e del Kimberley Process, non è facile garantire il rigoroso controllo della filiera. Di qui iniziative come quelle lanciate da De Beers e da Tiffany’s per tracciare le gemme con la tecnologia blockchain.

La stessa De Beers, storico gigante minerario, tre anni fa si è convinta ad entrare anche sul mercato dei diamanti sintetici, con la linea Lightbox Jewels. Ma la sfida in questo segmento di mercato rimane più che mai aperta.

La settimana scorsa Diamond Foundry – società specializz­ata in gemme da laboratori­o, che conta tra i suoi azionisti anche l’attore Leonardo Di Caprio – ha ottenuto un finanziame­nto da 200 milioni di dollari da Fidelity, che spinge la sua valutazion­e a 1,8 miliardi. Grazie anche ai nuovi fondi, la società promette di investire per quintuplic­are la produzione entro il 2022, a 5 milioni di carati l’anno: circa un quarto di quanto De Beers ha estratto nel corso del 2020.

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REUTERS Pandora. Il marchio danese, celebre soprattutt­o per i bracciali con i “charme”

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