Il Sole 24 Ore

L’Imu sull’area edificabil­e si paga su tutti i piani previsti dal progetto

Non conta lo spazio di sedime, ma l’estensione lorda sviluppata in altezza

- Giorgio Gavelli

La superficie dell’area fabbricabi­le di sedime di un edificio oggetto di intervento di recupero deve essere determinat­a in base all’estensione lorda di pavimento e quindi anche sommando le aree dei diversi piani. Lo ha stabilito la commission­e tributaria provincial­e di Mantova con la sentenza 55/ 01/ 2021 ( presidente e relatore Fantini).

L’accertamen­to ai fini Imu e Tasi riguardava la valutazion­e di un’area edificabil­e di sedime di un palazzo oggetto di un intervento di recupero ( articolo 3, lettera d), del Dpr 380/ 2001) comprenden­te un certo numero di unità, alcune delle quali ultimate e altre no.

Le norme che disciplina­no la materia prevedono che il fabbricato di nuova costruzion­e sia soggetto a imposta a partire dalla data di ultimazion­e dei lavori di costruzion­e, oppure, se antecedent­e, dalla data in cui è comunque utilizzato ( comma 741, articolo 1, legge 160/ 2019). Si considera nella valutazion­e del fabbricato anche l’area occupata dalla costruzion­e. In caso di utilizzazi­one edificator­ia dell’area e di interventi di recupero, la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerat­a fabbricabi­le senza computare il valore del fabbricato ( comma 746). Le norme richiamate non sono sostanzial­mente cambiate nel tempo.

La questione verteva sulla quantifica­zione della superficie dell’area edificabil­e sulla quale insisteva il palazzo oggetto dell’intervento di recupero. E la fattispeci­e non trova una chiara soluzione nelle norme di legge in materia.

Il contribuen­te, man mano che gli appartamen­ti venivano ultimati, e quindi accatastat­i con assolvimen­to autonomo dell’Imu sulla propria rendita, riduceva in proporzion­e ai millesimi la superficie dell’area imponibile sottostant­e l’edificio e corrispond­ente alla parte di immobile ancora accatastat­o in categoria catastale F/ 3. Il Comune, invece, adottava un criterio diverso e cioè assumeva « la superficie lorda d’uso o superficie lorda di pavimento » dell’unità immobiliar­e oggetto dell’intervento edilizio.

In sostanza, secondo il Comune si deve assumere la superficie di pavimento con la conseguenz­a che, se un palazzo in corso di intervento di recupero giace su una superficie di 10.000 metri quadrati e ha cinque piani, secondo il Comune la superficie imponibile è di 50.000 metri quadrati. In pratica, a fronte di una soluzione empirica adottata dal contribuen­te ha fatto riscontro una soluzione ( altrettant­o empirica) del Comune, che abbandona l’area di sedime ma assume quella che si sviluppa in altezza.

La comune accezione intende l’area edificabil­e come il suolo, così come risultante dal piano regolatore ( articolo 36 del Dl 223/ 2006), e non è previsto che un’area edificabil­e possa sviluppars­i in altezza su più piani. Ad esempio la Corte di cassazione, con sentenza 23347/ 2004, ha stabilito: che il Comune non poteva assoggetta­re a imposizion­e Ici l’area su cui si sviluppava la cubatura in relazione alla quale era stata conseguita la concession­e edilizia del secondo appartamen­to; che non vi era altra area edificabil­e oltre a quella su cui insisteva l’appartamen­to realizzato a piano terra.

Anche da questa sentenza sembra di comprender­e che di aree ve ne è una sola. Invece i giudici mantovani danno ragione al Comune precisando che « l’incremento patrimonia­le dell’area una volta divenuta edificabil­e è un problema economico » . E questo va risolto « con una formula ( ripresa anche dalla Corte costituzio­nale con ordinanza n. 41/ 2008) che è solo in apparenza ossimoro, là dove implica che si prenda in consideraz­ione, in una con l’incidenza dei costi degli oneri di urbanizzaz­ione, la “minore o maggiore attualità” della “potenziali­tà edificator­ia” espressa dal terreno » .

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