Il Sole 24 Ore

Ma la prova dell’illecito tocca sempre al Fisco

L’allungamen­to dei termini non modifica le regole base sull’onere probatorio

- Dario Deotto Luigi Lovecchio

Se talune delle argomentaz­ioni della Cassazione a Sezioni unite 8500/ 2021 sui termini decadenzia­li dei componenti reddituali pluriennal­i possono essere accettate, non può invece essere condivisa la conseguenz­a secondo cui il contribuen­te può essere sottoposto ad accertamen­to senza il rispetto di alcun termine decadenzia­le per l’amministra­zione, come nel caso delle perdite riportabil­i.

La sensazione è che, come accaduto dopo gli approdi giurisprud­enziali sul raddoppio dei termini, anche su questa vicenda dovrà intervenir­e una legge, per assicurare un minimo di garanzie al contribuen­te.

Il punto cruciale della pronuncia è quando viene stabilito ( 4.5) che « la definitivi­tà, in conseguenz­a del mancato accertamen­to, della dichiarazi­one di prima emersione del componente pluriennal­e non porta in sé il diverso effetto della preclusivi­tà di sindacato per un periodo d’imposta successivo » . Tutto ciò comunque – secondo la Cassazione – non attribuire­bbe « all’amministra­zione un potere di controllo per un tempo indetermin­ato » ( 4.7).

Invero, questo potere illimitato risulta palese se si pensa, ad esempio, alla possibilit­à di riporto in avanti ( illimitato) delle perdite fiscali. Ciò comporta che, parimenti, anche la tempistica di conservazi­one documental­e risultereb­be potenzialm­ente illimitata. Sul punto, si nota che il riferiment­o alla sentenza della Consulta 247/ 2011 sui termini decadenzia­li raddoppiat­i ( ora abrogati) non risulta pertinente. A ben vedere, la Consulta ha stabilito la necessità di un obbligo di conservazi­one documental­e comunque entro un determinat­o termine ( quello, al tempo, raddoppiat­o), mentre nel caso della sentenza n. 8500/ 2021, il termine risultereb­be, in taluni casi, indetermin­ato.

L’onere della prova

È chiaro, tuttavia, che fino a un auspicabil­e intervento legislativ­o, la questione si gioca sull’onere probatorio. Come afferma la stessa pronuncia 8500/ 2021, la dichiarazi­one tributaria riporta “fatti”, non “diritti”. Sicché per i medesimi fatti devono valere le ordinarie regole sull’onere della prova. Regole che, contrariam­ente a quanto rileva spesso la Cassazione, devono portare a ritenere che tale onere grava sempre e comunque sull’amministra­zione, tranne che in presenza di presunzion­i legali relative. Sicché se l’onere della prova viene fatto impropriam­ente ricadere sul contribuen­te ( si pensi all’inerenza dei componenti negativi di reddito) e su questioni oltremodo lontane nel tempo, l’alterazion­e delle regole ordinarie può rendere a volte impossibil­e l’assolvimen­to dello stesso, con grave menomazion­e del diritto di difesa.

I crediti « senza termine »

In tutto questo non va trascurato l’orientamen­to della stessa Cassazione secondo cui i termini decadenzia­li varrebbero soltanto per le dichiarazi­oni che espongono un debito d’imposta ( Cassazione a Sezioni unite 5069/ 2016). In so

Le Sezioni unite si pronuncera­nno sui termini entro cui il Fisco può contestare i crediti esposti in dichiarazi­one

stanza, per la Cassazione i termini decadenzia­li per l’accertamen­to non valgono per gli atti impositivi con i quali l’amministra­zione contesta il credito esposto nella dichiarazi­one da parte del contribuen­te. Questa interpreta­zione viene fatta derivare dal principio secondo cui “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendu­m”, in forza del quale ciò che è prescritti­bile per l’azione non lo è per l’eccezione. Nello specifico, la Corte mutua dall’articolo 1442 del Codice civile una regola pensata per il solo ambito contrattua­le, trascurand­o il fatto che la stessa regola non appare praticabil­e nel contesto tributario.

Sul punto, va segnalato comunque che l’ordinanza 15525/ 2020 ha rimesso alle Sezioni unite la questione dei termini decadenzia­li con riferiment­o alla rettifica del credito Iva riportato in dichiarazi­one.

Si auspica così un “ravvedimen­to” della Cassazione perlomeno su questo aspetto, perché, evidenteme­nte, il termine decadenzia­le posto dagli articoli 43 del Dpr 600/ 1973 e 57 del Dpr 633/ 1972 estingue irreversib­ilmente il potere di accertamen­to dell’amministra­zione ( ancorché nei termini “dilatati” derivanti dalla pronuncia 8500/ 2021), risultando irrilevant­e il fatto che la rettifica riguardi la spettanza di un credito o un maggior debito d’imposta.

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