IL CORTOCIRCUITO SVELATO
« La decisione di “togliere l’amicizia” all’Australia è arrogante quanto deludente. Sto discutendo con i leader di altri Paesi della questione. Non ci faremo intimidire » . Con queste parole il primo ministro australiano Scott Morrison ha replicato a quella che è stata, a sua volta, la controffensiva del social network.
In Australia la piattaforma digitale si è sottratta all’ambito di applicazione della sovranità statale
Controffensiva al progetto di legge che impone alle grandi piattaforme digitali di negoziare con gli editori dei giornali forme di remunerazione dell’utilizzo dei contenuti prodotti da quest’ultimi.
Reazione che si è concretizzata nella scelta, da parte di Facebook, di interrompere, all’interno dei propri “spazi” digitali, il servizio di fruizione, per tutta l’Australia, degli articoli di giornale.
Si tratta di un episodio che plasticamente rileva il cortocircuito di portata costituzionale che caratterizza il funzionamento e la stessa natura delle piattaforme digitali. In teoria soggetti privati che esercitano il diritto di iniziativa economica, in pratica poteri privati che forniscono servizi pubblici essenziali e competono alla pari con i poteri pubblici e che da quest’ultimi sono percepiti come veri e propri concorrenti, come dimostra la dichiarazione di Morrison.
Poteri privati che, in questo caso, si sono di fatto sottratti all’ambito di applicazione della sovranità statale in forza della quale sarebbero semplicemente tenuti a rispettare le leggi, utilizzando le vie giurisdizionali per metterne in discussione la conformità a Costituzione.
La radicalità dell’intervento del social network non sembra essere peraltro conforme al principio di proporzionalità che guida, almeno per i decisori di natura pubblicistica, il bilanciamento in caso di conflitto tra diritti. Il che è aggravato dal fatto che, in questo caso, i due diritti confliggenti non sono di portata equivalente. Da una parte c’è una esigenza di natura prettamente economica da parte della piattaforma, dall’altra vi è il rischio di una lesione al diritto di informazione. La discrezionalità infatti nell’interpretare il concetto di “notizia” ha fatto sì che siano stati oscurati anche contenuti che non appartengono minimamente alla categoria news, ma sono invece relativi a informazioni essenziali in merito all’emergenza pandemica.
Il quadro è, per il costituzionalista, ancora più cupo se si pensa che un intervento talmente esteso da parte della piattaforma non costituisce soltanto la prima, ma anche, probabilmente, l’ultima parola a riguardo. A meno di non considerare di coinvolgere, come è successo per il silenziamento dell’account di Trump, la c. d corte suprema di Facebook. Un’opzione che resterebbe comunque nel solco del pericoloso processo in atto di privatizzazione della giustizia digitale.