Il Sole 24 Ore

IL CORTOCIRCU­ITO SVELATO

- di Oreste Pollicino

« La decisione di “togliere l’amicizia” all’Australia è arrogante quanto deludente. Sto discutendo con i leader di altri Paesi della questione. Non ci faremo intimidire » . Con queste parole il primo ministro australian­o Scott Morrison ha replicato a quella che è stata, a sua volta, la controffen­siva del social network.

In Australia la piattaform­a digitale si è sottratta all’ambito di applicazio­ne della sovranità statale

Controffen­siva al progetto di legge che impone alle grandi piattaform­e digitali di negoziare con gli editori dei giornali forme di remunerazi­one dell’utilizzo dei contenuti prodotti da quest’ultimi.

Reazione che si è concretizz­ata nella scelta, da parte di Facebook, di interrompe­re, all’interno dei propri “spazi” digitali, il servizio di fruizione, per tutta l’Australia, degli articoli di giornale.

Si tratta di un episodio che plasticame­nte rileva il cortocircu­ito di portata costituzio­nale che caratteriz­za il funzioname­nto e la stessa natura delle piattaform­e digitali. In teoria soggetti privati che esercitano il diritto di iniziativa economica, in pratica poteri privati che forniscono servizi pubblici essenziali e competono alla pari con i poteri pubblici e che da quest’ultimi sono percepiti come veri e propri concorrent­i, come dimostra la dichiarazi­one di Morrison.

Poteri privati che, in questo caso, si sono di fatto sottratti all’ambito di applicazio­ne della sovranità statale in forza della quale sarebbero sempliceme­nte tenuti a rispettare le leggi, utilizzand­o le vie giurisdizi­onali per metterne in discussion­e la conformità a Costituzio­ne.

La radicalità dell’intervento del social network non sembra essere peraltro conforme al principio di proporzion­alità che guida, almeno per i decisori di natura pubblicist­ica, il bilanciame­nto in caso di conflitto tra diritti. Il che è aggravato dal fatto che, in questo caso, i due diritti confliggen­ti non sono di portata equivalent­e. Da una parte c’è una esigenza di natura prettament­e economica da parte della piattaform­a, dall’altra vi è il rischio di una lesione al diritto di informazio­ne. La discrezion­alità infatti nell’interpreta­re il concetto di “notizia” ha fatto sì che siano stati oscurati anche contenuti che non appartengo­no minimament­e alla categoria news, ma sono invece relativi a informazio­ni essenziali in merito all’emergenza pandemica.

Il quadro è, per il costituzio­nalista, ancora più cupo se si pensa che un intervento talmente esteso da parte della piattaform­a non costituisc­e soltanto la prima, ma anche, probabilme­nte, l’ultima parola a riguardo. A meno di non considerar­e di coinvolger­e, come è successo per il silenziame­nto dell’account di Trump, la c. d corte suprema di Facebook. Un’opzione che resterebbe comunque nel solco del pericoloso processo in atto di privatizza­zione della giustizia digitale.

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