La mina Quota 100 tra i primi dossier del nuovo Welfare
Sulla riforma previdenziale il faro di Burxelles per il via libera formale al Recovery
È destinata a diventare una delle priorità inevitabili dell’agenda del governo che Mario Draghi sta provando a formare. La riforma delle pensioni, che con la nascita di “Quota 100” ha segnato l’avvio della diciottesima legislatura aprendo subito sulla previdenza una distanza con l’Europa, dovrà essere affrontata già nei prossimi mesi. Anche perché Bruxelles la considera di fatto una delle condizioni implicite al via libera formale del Recovery plan italiano. Il calendario, su questo fronte, non aiuta: a fine anno senza nuovi interventi si chiude la finestra dei pensionamenti agevolati con 62 anni e 38 di contributi minimi e si torna alle regole Fornero. Con la conseguente attivazione del famoso “scalone” di cinque anni tra gli ultimi beneficiari dell’anticipo sperimentale e la prima coorte degli esclusi.
La questione potrebbe fare capolino già nel giro di consultazioni, soprattutto se Draghi incontrerà anche le parti sociali. Ma l’ex presidente della Bce dovrà fare i conti anche con le diverse sensibilità dei partiti che potrebbero garantire l’appoggio (o la non ostilità) al suo governo. La Lega, ad esempio, ha sempre considerato la conferma di “Quota 100” un’opzione non negoziabile. E nel centrodestra non sono in pochi a considerare un’eventuale proroga come soluzione migliore per gestire le tensioni che si innescheranno sul mercato del lavoro dei prossimi mesi, con o senza la fine del blocco dei licenziamenti.
Vista dall’Europa “Quota 100” rappresenta un vero azzardo. Secondo le previsioni fatte nelle prime settimane del 2020, ovvero quando il Covid-19 era un perfetto sconosciuto, la spesa pensionistica del prossimo decennio, con un Pil in crescita su una media dell’1,2% in termini reali e un mercato del lavoro in espansione, era data attorno al 15,6% del Prodotto, tre decimali in meno rispetto al picco odierno. All’inizio degli anni Trenta saremmo stati ancora 2,3 punti sopra il livello pre-crisi del 2007 (circa 42 miliardi in più all’anno); un buon punto di arrivo se si considera quello che succede dopo. Già perché nel quindicennio successivo si formerà la famosa “gobba”, gonfiata dal ritiro dei baby boomers. E il livello della spesa pensionistica sul Pil è previsto in salita fin oltre il 16%, secondo l’ultima stima centrale della Ragioneria generale dello Stato. Ma si tratta di scenari che la nuova recessione da pandemia ha reso ultra-ottimistici. Il comitato tecnico della Commissione europea (Epc-Wga), sulla base di un quadro macroeconomico più avverso, fotografava prima dell’epidemia un picco al 17% già nel 2030, poi in salita oltre il 18% nel 2040. Ora a quei livelli rischiamo di arrivare molto prima. Per questo “Quota 100” risulta indigesta per gli altri paesi dell’Unione, perché rappresenta un debito implicito che l’Italia ha deciso di assumersi e che le future generazioni dovranno sostenere per lunghi anni.
Le ragioni di chi sosterrà, anche davanti a Draghi, che nuove soluzioni di flessibilità o addirittura una proroga di “Quota 100” si possono invece considerare sono scontate. La sperimentazione, diranno, non è andata come previsto. Le adesioni sono state un terzo delle attese e, dunque, ci sono margini di spesa. Secondo un’analisi dell’Osservatorio previdenza della Fondazione Di Vittorio, della Cgil, su una spesa complessiva per 21 miliardi stimata nel triennio 2019-2021 per “Quota 100”, Opzione Donna, Ape sociale e il blocco degli adeguamenti alla speranza di vita dei requisiti per gli anticipi, i risparmi possibili sfiorano attualmente i 7 miliardi. Ma è una tesi dal respiro corto. Già del 2019, l’Ufficio parlamentare di Bilancio aveva fatto notare che il monitoraggio in corso di sperimentazione dirà solo una parte della verità, poi andrà considerato un effetto “soglia/discontinuità” e il saldo vero si farà solo a consuntivo. Molti di coloro che non lo hanno fatto finora potrebbero chiedere il pensionamento con “Quota 100” fino all’ultimo momento. Anche per questo la partita è tutt’altro che chiusa. E il nuovo governo dovrà affrontarla al più presto.