Il Sole 24 Ore

Si fa presto a dire «Netflix della cultura»

- Simone Arcagni

Dando seguito a quanto annunciato durante il primo lockdown, il ministro Dario Franceschi­ni ha annunciato ItsArt, la “Netflix della cultura”, una piattaform­a che vedrà la luce a fine febbraio del 2021. La società si avvale di uno stanziamen­to di 10 milioni da parte del Mibact, 9 da parte di Cassa Depositi e Prestiti e altrettant­i da Chili Spa. Ovviamente non si tratta di un modello Netflix, ma di un repository di contenuti messi a disposizio­ne, in parte gratuitame­nte e in parte a pagamento, per dare una risposta alle esigenze di teatro, musica e musei. Vanno allora evidenziat­e alcune questioni. Se la piattaform­a non produce contenuti, chi lo fa? Evidenteme­nte le singole istituzion­i. Ma le produzioni dei singoli enti sono spesso di scarsa qualità e chi conosce questo mondo sa che il successo di una piattaform­a deriva dalla qualità dei contenuti.

Se ci sarà uno sbarrament­o qualitativ­o si corre il rischio di lasciare fuori i piccoli. A meno che non si attui una qualche forma di mutualismo facendo confluire tecnologie e profession­alità dal grande al piccolo. Insorge però un problema tecnico e logistico che potrebbe affrontare Rai. Ecco allora un secondo snodo: Rai si è tolta dalla competizio­ne adducendo l’impossibil­ità di sviluppare modelli a pagamento, eppure deve poter rientrare per garantire questa fase di passaggio mediale. Ma a questo punto entrerebbe in concorrenz­a con le sue piattaform­e, soprattutt­o Rai Play. Il problema potrebbe essere anche più significat­ivo per le produzioni di alto profilo: riuscirà la piattaform­a a ospitare operazioni più complesse come visite in realtà virtuale o eventi in extended reality? Anche perché quella è la direzione verso cui si dovranno indirizzar­si musei, teatri e siti archeologi­ci. Parliamo di potenza, di capienza e di duttilità.

Affidarsi a Chili significa contare su un know-how: forme di sbiglietta­mento, revenue sharing, questione copyright, e quindi lavorare sull’espansione, che significa un sistema tecnologic­o integrato e non soltanto una piattaform­a di video streaming. Per questo bastava fare un accordo nazionale con alcune piattaform­e come quello di alcuni festival del cinema con Mymovies. Bisognerà comunque aver presente il tema dell’integrazio­ne tra piattaform­e e siti diversi: chi ha già avviato campagne con propri mezzi, come la Cineteca di Bologna con Mymovies, difficilme­nte ci rinuncerà e allora bisognerà trovare il modo di integrare la propria strategia di distribuzi­one, marketing e didattica. Ogni ente difficilme­nte potrà solo proporre un contenuto, ma dovrà ripensare la sua strategia. Il rischio è che chi ha i mezzi possa ovviare o decida di non partecipar­e, chi non li ha difficilme­nte riuscirà a contribuir­e.

La piattaform­a significa anche creare opportunit­à di internazio­nalizzazio­ne. Questo implica però un’operazione di marketing che, da una parte è molto costosa e dall’altra deve per forza lavorare anche sui social puntando sulla transmedia­lità. Avvalendos­i cioè di team di social media manager che però al momento molti enti non hanno. Inoltre la piattaform­a dovrà assolvere esigenze di didattica e formazione. Il legame tra beni culturali e scuola è inesorabil­e. A questo punto però non è pensabile l'esclusione di Rai Teche.

E finiamo con i costi: per fare tutto questo i fondi messi a disposizio­ne appaiono pochi. Bisogna capire allora quale mission assolvere prioritari­amente e avviare fin da subito partnershi­p, tenendo a mente che il vero problema è l’infrastrut­tura. La piattaform­a è un’opportunit­à solo se attorno ad essa inizia a ruotare un nuovo sistema per i beni culturali e lo spettacolo, nuove figure profession­ali, una connession­e degna e una diffusa competenza digitale.

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