Al Sud la ripresa sarà più lenta Fondi Ue decisivi per il rilancio
I dati del rapporto annuale elaborato da Confindustria e Srm (Intesa Sanpaolo) Male export (-15,6%) e occupazione (-2,2%) va meglio l’edilizia (+1,9)
L'impatto del Covid sul Sud è stato forte e ora è urgente accelerare la programmazione dei fondi Ue. È quanto emerge dal rapporto Confindustria e Srm. Gli effetti recessivi della pandemia sul Pil nel 2020 si prevede che siano appena meno pronunciati nel Sud (-9%) rispetto al Centro-Nord (-9,8%), ma comunque consistenti. E la ripresa sarà più lenta
L’uscita del Mezzogiorno dalla crisi economica sarà più incerta rispetto al Centro-Nord. A evidenziare la differente andatura è l’ultimo Check-up Mezzogiorno, il consueto rapporto annuale elaborato da Confindustria e Srm (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo). La previsione è che gli effetti recessivi della pandemia sul Pil nel 2020 siano appena meno pronunciati nel Sud (-9%) rispetto al Centro-Nord (-9,8%) ma per il 2021 e 2022 la ripresa del Mezzogiorno si prospetta sensibilmente più debole (rispettivamente +1,2% e +1,4%) rispetto al resto del paese (+4,5% e +5,3%).
Punto centrale dell’analisi è l’Indice sintetico dell’economia meridionale, costruito aggregando cinque variabili: Pil, investimenti, imprese attive, export, occupazione. L’indice continua a scendere e registra, nel 2020, un calo di oltre 40 punti rispetto all’anno precedente, il più basso registrato a partire dal 2007. Tra i cinque indicatori, solo quello delle imprese attive è in moderata crescita.
In questo quadro, tuttavia, Confindustria e Srm scorgono segnali di solidità o potenzialità che prefigurano una capacità per molte imprese meridionali di resistere alla crisi. Con una condizione quasi imprescindibile: l’uso veloce ed efficace da parte delle amministrazioni delle risorse Ue già disponibili e di quelle programmate per il nuovo ciclo 2021-27.
Export e occupazione
Colpisce la performance negativa dell’export, che induce evidentemente cautela rispetto alle analisi ottimistiche giunte di recente dal governo. Non basta leggere il dato nazionale dell’export infatti. Ci sono differenze significative: nei primi nove mesi del 2020 rispetto alla media nazionale (-12,5%), il calo è più ampio per il Mezzogiorno (-15,6%). Sempre nei primi nove mesi del 2020, l’export manifatturiero complessivo ha registrato un calo del 12,8%, con un -14% nel Mezzogiorno e -10,8% al CentroNord. Segnali negativi anche sul fronte dell’occupazione. «La ripresa produttiva del terzo trimestre 2020 si legge nel rapporto - non è riuscita a compensare il calo rispetto allo stesso periodo del 2019, diffuso in tutta la Penisola ma particolarmente significativo al Sud (-2,2% ovvero 135 mila occupati in meno)». Il massiccio impiego della cassa integrazione in tutte le sue varie forme ha solo compresso la riduzione complessiva degli occupati nel Mezzogiorno.
Imprese attive
Come detto, un timido segnale positivo arriva dalle imprese attive, che nel terzo trimestre 2020 aumentano complessivamente di poco nel Mezzogiorno (0,7%, +12 mila imprese), ma anche sul piano qualitativo (più società di capitali e meno società di persone e ditte individuali). Gli aumenti si concentrano quasi tutti nelle costruzioni (+1,9%), «probabilmente - è l’interpretazione di Confindustria e Srm per impulso delle misure del Governo sulle ristrutturazioni edilizie (il 110%) e l’aumento degli importi degli appalti pubblici (quasi 9 miliardi nei primi 10 mesi del 2020, rispetto agli 8,4 miliardi dello stesso periodo del 2019)».
Misure del governo e fondi Ue
Secondo l’analisi, le misure adottate dal governo hanno migliorato la liquidità riportando gli impieghi creditizi a giugno 2020 ai livelli di un anno prima. Allo stesso tempo si registra, però, un peggioramento dei ritardi di pagamento delle Pmi delle imprese del Mezzogiorno, che nel terzo trimestre 2020 raggiunge un livello quasi doppio del dato medio nazionale rispetto allo stesso periodo del 2019. Tra le note confortanti, viene registrato anche il risultato positivo sulla certificazione della spesa dei fondi strutturali, necessaria per scongiurare la perdita delle risorse impegnate: a ottobre, l’Italia ha certificato 16,3 miliardi, pari al 90% delle risorse da spendere; il Sud c’è andato vicino, certificando l’87% delle risorse dei Programmi regionali. Nel complesso, a livello nazionale, ad ottobre andavano ancora certificate