In fabbrica spazio ai sistemi innovativi che riducono la fatica
Le strutture meccaniche in sperimentazione, soprattutto nell’automotive, possono alleviare la fatica: secondo uno studio sul Mate, in collaborazione tra Fondazione Ergo, Alma Mater Bologna, PoliTo, promosso da Iuvo, cala del 30% il carico sulla spalla
Se le aziende devono assicurare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella scelta delle attrezzature e dei metodi di lavoro per contrastare gli effetti sulla salute, del lavoro monotono e ripetitivo (come dice l’articolo 15 del Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) nel caso degli operai l’esoscheletro potrebbe essere un valido alleato? Le sperimentazioni che si stanno moltiplicando nelle fabbriche, soprattutto nell’automotive, porterebbero a dire di sì. Così come gli studi degli esperti di medicina del lavoro sugli effetti del loro utilizzo. Partiamo proprio di qui, dal progetto di ricerca scientifica EsoEaws ( ergonomic assessment worksheet), nato dalla collaborazione tra Fondazione Ergo, Università di Bologna e il Laboratorio di ingegneria del sistema neuromuscolare (Lisin) del Politecnico di Torino. A promuovere il progetto Iuvo, la società spinoff dell’Istituto di Bio robotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, controllata da Comau (che produce l’esoscheletro Mate) e Ossur, con l’obiettivo di capire e quantificare in che modo l’uso di sistemi esoscheletrici possa ridurre gli sforzi muscolari dei lavoratori. Come racconta Francesco Violante, direttore della Scuola di medicina del lavoro dell’Università di Bologna, «il progetto ha coinvolto 12 volontari. Attraverso un sofisticato sistema di elettromiografie dei muscoli della spalla sono state studiate 12 attività di lavoro simulate con l’utilizzo dell’esoscheletro Mate». In estrema sintesi, dice Violante, «l’analisi dei dati ha evidenziato che l’esoscheletro porta a una riduzione del carico biomeccanico di oltre il 30% sulle posture e sui movimenti, quindi facilita le attività che richiedono posture estreme e supporta chi è affetto da problemi alle spalle».
Oggi sul mercato esistono oltre 80 esoscheletri che sono stati pensati per alleggerire gli sforzi fisici degli operai, su diversi arti, dal braccio alla spalla, alla mano, alle gambe. Saranno la frontiera che consentirà di alleggerire la fatica e fronteggiare l’active ageing a chi fa un lavoro manuale e ripete gli stessi gesti molte migliaia di volte al giorno? Milioni ogni anno? Affaticando in particolare una parte della muscolatura? Il fenomeno esoscheletro ha un suo inizio, nel campo dell’ingegneria biomedica, per aiutare disabili che hanno perso il controllo di alcune parti del corpo, o nell’industria militare come armatura potenziante per i soldati. L’ingegnere Gabriele Caragnano, partner di PwC e direttore tecnico della Fondazione Ergo che ha organizzato il simposio “What is the future of exoskeletons in industry?”, spiega che «le percentuali di utilizzo nell’industria sono molto limitate, in Italia». Ma «bisogna chiarire alcuni aspetti importanti sia a favore dell’uso corretto dell’esoscheletro che a sfavore di un suo utilizzo sbagliato.
Oggi esistono varie tipologie di esoscheletri. La prima distinzione da fare - prosegue - è tra esoscheletri attivi, ossia motorizzati con un motore, generalmente elettrico, che supportano il movimento umano fornendo energia e esoscheletri passivi, che non hanno alcuna motorizzazione, ma sfruttano la forza di molle ed elastici opportunamente posizionati. L’uso di esoscheletri attivi non esiste nell’industria, o se esiste si tratta solo di test e sperimentazioni».
Viceversa, «gli esoscheletri passivi cominciano ad avere interesse in alcune realtà perché hanno un livello di rischio nell’utilizzo che è assente», dice Caragnano. Per questo molti grandi gruppi, soprattutto nell’automotive (si vedano altri pezzi in pagina), stanno studiando la possibilità di usare gli esoscheletri in modo permanente e sistematico su alcune specifiche postazioni di lavoro dove il lavoratore è obbligato a mantenere delle posture di lavoro che sono scomode e possono riguardare l’arto superiore, la spalla o il tronco nel caso di piegamento o gli arti inferiori. La percentuale di postazioni su cui si può avere un effetto positivo «comunque è bassa, possiamo dire che non superi il 5%. Se prendiamo le linee per la fabbricazione di auto, oggi le postazioni incongrue sono poche», osserva Caragnano. L’esempio più evidente è quello delle attività fatte sul fondo della scocca della vettura. Nelle vecchie catene di montaggio le auto scorrevano su una catena aerea e gli operai lavoravano sotto con le braccia e le mani alzate. In un caso come questo l’esoscheletro potrebbe essere utile. Ma le linee di 10 anni fa sono distanti anni luce rispetto a quelle di oggi. «Quando gli stabilimenti sono stati riprogettati è stato previsto che le auto fossero agganciate con ganci a C che ruotano e ruotano tutta la vettura - dice Caragnano -. Un intervento di questo tipo richiede però tempo e grandi investimenti strutturali. L’esoscheletro, invece, ha un costo di alcune migliaia di euro ed è una soluzione rapida per alcune situazioni scomode in attesa di risolvere strutturalmente il disagio».
I sindacati hanno una forte sensibilità rispetto all’impiego di questi strumenti (si veda altro pezzo in pagina) su cui ci sono posizioni diverse, ma sempre di una certa cautela. «Per questo è importante non passare il messaggio che usando gli esoscheletri abbiamo risolto il problema e non investiamo più per l’ergonomia e il buon disegno del ciclo del lavoro negli stabilimenti - conclude Caragnano -. Le aziende con cui collaboriamo (da Fca a Lamborghini, Bosch, Whirlpool, Indesit, Electrolux, Tetrapack, Tecniplast, solo per citarne alcune, ndr) hanno sposato la logica della buona progettazione degli stabilimenti perché progettare bene significa prevenire problemi ed è quindi meglio che intervenire in un secondo momento. Oggi esistono le tecnologie digitali e i sistemi che consentono di progettare virtualmente qualsiasi processo andando a preventivare il livello di fatica e a intercettare le operazioni che potrebbero individuare i problemi».