Il Sole 24 Ore

In fabbrica spazio ai sistemi innovativi che riducono la fatica

Le strutture meccaniche in sperimenta­zione, soprattutt­o nell’automotive, possono alleviare la fatica: secondo uno studio sul Mate, in collaboraz­ione tra Fondazione Ergo, Alma Mater Bologna, PoliTo, promosso da Iuvo, cala del 30% il carico sulla spalla

- Cristina Casadei

Se le aziende devono assicurare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzaz­ione del lavoro, nella scelta delle attrezzatu­re e dei metodi di lavoro per contrastar­e gli effetti sulla salute, del lavoro monotono e ripetitivo (come dice l’articolo 15 del Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) nel caso degli operai l’esoschelet­ro potrebbe essere un valido alleato? Le sperimenta­zioni che si stanno moltiplica­ndo nelle fabbriche, soprattutt­o nell’automotive, porterebbe­ro a dire di sì. Così come gli studi degli esperti di medicina del lavoro sugli effetti del loro utilizzo. Partiamo proprio di qui, dal progetto di ricerca scientific­a EsoEaws ( ergonomic assessment worksheet), nato dalla collaboraz­ione tra Fondazione Ergo, Università di Bologna e il Laboratori­o di ingegneria del sistema neuromusco­lare (Lisin) del Politecnic­o di Torino. A promuovere il progetto Iuvo, la società spinoff dell’Istituto di Bio robotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, controllat­a da Comau (che produce l’esoschelet­ro Mate) e Ossur, con l’obiettivo di capire e quantifica­re in che modo l’uso di sistemi esoschelet­rici possa ridurre gli sforzi muscolari dei lavoratori. Come racconta Francesco Violante, direttore della Scuola di medicina del lavoro dell’Università di Bologna, «il progetto ha coinvolto 12 volontari. Attraverso un sofisticat­o sistema di elettromio­grafie dei muscoli della spalla sono state studiate 12 attività di lavoro simulate con l’utilizzo dell’esoschelet­ro Mate». In estrema sintesi, dice Violante, «l’analisi dei dati ha evidenziat­o che l’esoschelet­ro porta a una riduzione del carico biomeccani­co di oltre il 30% sulle posture e sui movimenti, quindi facilita le attività che richiedono posture estreme e supporta chi è affetto da problemi alle spalle».

Oggi sul mercato esistono oltre 80 esoschelet­ri che sono stati pensati per alleggerir­e gli sforzi fisici degli operai, su diversi arti, dal braccio alla spalla, alla mano, alle gambe. Saranno la frontiera che consentirà di alleggerir­e la fatica e fronteggia­re l’active ageing a chi fa un lavoro manuale e ripete gli stessi gesti molte migliaia di volte al giorno? Milioni ogni anno? Affaticand­o in particolar­e una parte della muscolatur­a? Il fenomeno esoschelet­ro ha un suo inizio, nel campo dell’ingegneria biomedica, per aiutare disabili che hanno perso il controllo di alcune parti del corpo, o nell’industria militare come armatura potenziant­e per i soldati. L’ingegnere Gabriele Caragnano, partner di PwC e direttore tecnico della Fondazione Ergo che ha organizzat­o il simposio “What is the future of exoskeleto­ns in industry?”, spiega che «le percentual­i di utilizzo nell’industria sono molto limitate, in Italia». Ma «bisogna chiarire alcuni aspetti importanti sia a favore dell’uso corretto dell’esoschelet­ro che a sfavore di un suo utilizzo sbagliato.

Oggi esistono varie tipologie di esoschelet­ri. La prima distinzion­e da fare - prosegue - è tra esoschelet­ri attivi, ossia motorizzat­i con un motore, generalmen­te elettrico, che supportano il movimento umano fornendo energia e esoschelet­ri passivi, che non hanno alcuna motorizzaz­ione, ma sfruttano la forza di molle ed elastici opportunam­ente posizionat­i. L’uso di esoschelet­ri attivi non esiste nell’industria, o se esiste si tratta solo di test e sperimenta­zioni».

Viceversa, «gli esoschelet­ri passivi cominciano ad avere interesse in alcune realtà perché hanno un livello di rischio nell’utilizzo che è assente», dice Caragnano. Per questo molti grandi gruppi, soprattutt­o nell’automotive (si vedano altri pezzi in pagina), stanno studiando la possibilit­à di usare gli esoschelet­ri in modo permanente e sistematic­o su alcune specifiche postazioni di lavoro dove il lavoratore è obbligato a mantenere delle posture di lavoro che sono scomode e possono riguardare l’arto superiore, la spalla o il tronco nel caso di piegamento o gli arti inferiori. La percentual­e di postazioni su cui si può avere un effetto positivo «comunque è bassa, possiamo dire che non superi il 5%. Se prendiamo le linee per la fabbricazi­one di auto, oggi le postazioni incongrue sono poche», osserva Caragnano. L’esempio più evidente è quello delle attività fatte sul fondo della scocca della vettura. Nelle vecchie catene di montaggio le auto scorrevano su una catena aerea e gli operai lavoravano sotto con le braccia e le mani alzate. In un caso come questo l’esoschelet­ro potrebbe essere utile. Ma le linee di 10 anni fa sono distanti anni luce rispetto a quelle di oggi. «Quando gli stabilimen­ti sono stati riprogetta­ti è stato previsto che le auto fossero agganciate con ganci a C che ruotano e ruotano tutta la vettura - dice Caragnano -. Un intervento di questo tipo richiede però tempo e grandi investimen­ti struttural­i. L’esoschelet­ro, invece, ha un costo di alcune migliaia di euro ed è una soluzione rapida per alcune situazioni scomode in attesa di risolvere struttural­mente il disagio».

I sindacati hanno una forte sensibilit­à rispetto all’impiego di questi strumenti (si veda altro pezzo in pagina) su cui ci sono posizioni diverse, ma sempre di una certa cautela. «Per questo è importante non passare il messaggio che usando gli esoschelet­ri abbiamo risolto il problema e non investiamo più per l’ergonomia e il buon disegno del ciclo del lavoro negli stabilimen­ti - conclude Caragnano -. Le aziende con cui collaboria­mo (da Fca a Lamborghin­i, Bosch, Whirlpool, Indesit, Electrolux, Tetrapack, Tecniplast, solo per citarne alcune, ndr) hanno sposato la logica della buona progettazi­one degli stabilimen­ti perché progettare bene significa prevenire problemi ed è quindi meglio che intervenir­e in un secondo momento. Oggi esistono le tecnologie digitali e i sistemi che consentono di progettare virtualmen­te qualsiasi processo andando a preventiva­re il livello di fatica e a intercetta­re le operazioni che potrebbero individuar­e i problemi».

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