Dalla Groenlandia il rischio d’innalzamento del mare
La vulnerabilità di impianti, infrastrutture e oleodotti è un richiamo alla diversificazione delle fonti energetiche Mentre si lavora sulle nuove tecnologie che tengono conto delle variazioni dell’ambiente naturale
Il ruolo particolare che le regioni polari avrebbero giocato nella questione del cambiamento climatico era già molto visibile nei primi esperimenti che hanno investigato l’effetto sul clima terrestre causato dall’aumento dei gas serra. Era infatti ben visibile che l’aumento della temperatura al suolo, il marchio inconfondibile del cambiamento climatico, subiva una vistosa amplificazione nelle zone polari. Il motivo risiede in una articolata combinazione di fattori locali, che vanno dei feedback tra nuvole, vapor d’acqua e l’albedo superficiale, ma anche di fattori più generali, che vanno dalla riorganizzazione che il cambiamento climatico causa nella circolazione generale dell’atmosfera e nella distribuzione dei grandi sistemi meteorologici che trasportano energia verso i poli. Le regioni polari, e quindi l’Artico in particolare, sono quindi al centro di una complessa rete di interazioni che le collega alla variabilità meteorologica e climatica di tutto il pianeta.
Il risultato, nel caso dell’Artico, è un continuo riscaldamento che, dai primi segnali attorno agli anni 80, è diventato via via sempre più evidente. L’aumento di temperatura non è la sola evidenza del cambiamento climatico nell’Artico. La copertura dei ghiacci galleggianti marini dell’Oceano Artico si sta riducendo, soprattutto durante l’estate. La copertura nevosa sulla terraferma nell’Artico è diminuita, in particolare in primavera, e i ghiacciai in Alaska, Groenlandia e Canada settentrionale si stanno ritirando. Inoltre, il terreno ghiacciato nell’Artico, noto come permafrost, si sta riscaldando e in molte aree si sta scongelando.
Quest’anno la riduzione stagionale dei ghiacci marini dell’Artico è ai livelli del 2012, che è stato il minimo assoluto di estensione rispetto al periodo 1980-2010. L’estensione media del ghiaccio marino per maggio 2020 è stata di 12,4 milioni di chilometri, ovvero la quarta estensione più bassa mai registrata dell’era satellitare (circa il 1980) per il mese di maggio. Si tratta di 930.000 chilometri quadrati al di sotto della media di maggio 1981-2010 e di 440.000 chilometri quadrati sopra il record minimo per maggio stabilito nel 2016. Nel corso del mese, il ghiaccio marino è diminuito in media di 54.100 chilometri quadrati al giorno, leggermente più veloce della media 1981-2010 di 47.000 chilometri al giorno. La perdita totale di ghiaccio marino nel maggio 2020 è stata di 1,68 milioni di chilometri quadrati.
Le temperature sono state fino a 7 gradi Celsius sopra la media nella Russia occidentale, ma per dare un’idea della complessità del problema si può notare che invece nel Canada settentrionale le temperature sono state di circa 3-5 gradi al di sotto della media.
E poi c’è la Groenlandia. Il bilancio di massa d’acqua della Groenlandia, ovvero la differenza tra la fusione dei ghiacciai e l’aggiunta di nuovo ghiaccio invernale, è stato tale da determinare una perdita di massa annuale ogni anno a partire dal 1998. In termini di fusione dei ghiacci, il 2019 è stato uno degli anni peggiori per la calotta glaciale della Groenlandia dal 1948. La Groenlandia perde massa sia attraverso la creazione di iceberg, ovvero attraverso lo scarico dei ghiacciai in mare, ma anche attraverso la fusione superficiale dei ghiacci che scarica enormi quantità di acqua liquida in mare, creando cascate e fiumi azzurrissimi in un paesaggio abbagliante di bianco e di affascinante bellezza.
Ciò che accade in Groenlandia potrebbe avere importanti implicazioni per il resto del pianeta. Recenti studi hanno dimostrato che i processi che avvengono in Groenlandia sono attualmente il più grande contributore all’innalzamento globale del livello del mare. Se l’intera calotta glaciale si sciogliesse, il livello del mare salirebbe di 7 metri, il che sarebbe chiaramente un problema serio per molte città costiere. Limitandosi a considerare solo la parte della calotta glaciale della Groenlandia a più alto rischio, l’effetto sarebbe sufficiente ad alzare il livello del mare di 3 metri.
L’Artico quindi si presenta come un luogo dove arrivano a maturazione molteplici fattori, oceanografici, climatici, politici ed economici. Il risultato complessivo del ritiro dei ghiacci marini e dei ghiacciai di Groenlandia è infatti una progressiva facilità di accesso alle aree che rendono disponibili nuove reti di comunicazione e nuove possibilità economiche. L’Artico rappresenta la più grande area inesplorata rimanente sul nostro pianeta in termini di risorse ed è quindi chiaro che si apre nei prossimi decenni una delicata questione di protezione di quest’area e del mantenimento del suo fragile equilibrio.
Presidente del Centro Euro-Mediterraneo
sui Cambiamenti Climatici
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