Disgelo siberiano, energia a rischio
Un inverno e una primavera anomali, un’estate precoce: la rapidità del cambiamento sorprende e preoccupa gli scienziati, perché in Russia rende instabili le basi su cui è costruito il grosso dell’industria energetica
Allarme disgelo in Siberia. La rapidità del cambiamento preoccupa gli scienziati, perché in Russia rende instabili le basi su cui è costruito il grosso dell’industria energetica. In caso di incidenti la vulnerabilità d’infrastrutture e oleodotti potrebbe portare a un blocco delle esportazioni.
Perché mai devono sfociare nell’Artico? Gli scienziati sovietici accarezzarono a lungo l’idea di invertire il corso dei grandi fiumi siberiani, dirigendoli verso le terre assetate del Sud. Progetto abbandonato negli anni 80. Scrisse la Literaturnaja Gazeta: «Non si interferisce con la natura fino a questo punto». Oggi la Siberia torna a suonare l’allarme.
«Ci siamo svegliati alle 4 del mattino, sentendo le pareti scricchiolare. La casa si stava spaccando». Periferia di Yakutsk, via Avtodorozhnaja 8/4, 24 giugno: le immagini pubblicate dal Siberian Times sono impressionanti. La grossa crepa va dalle fondamenta al tetto: concepito come una “palafitta”, l’edificio a due piani sembra aver perso uno dei punti di appoggio. Avviene sempre più spesso, a Yakutsk e nelle altre città costruite su permafrost: il ghiaccio “eterno”, meno stabile a causa del cambiamento del clima, allenta la presa sui piloni che sostengono edifici e infrastrutture, li deforma, li spezza. Lo stesso fenomeno, si sospetta, all’origine della fuoriuscita di combustibile da un gigantesco serbatoio di Norilsk, Siberia centrale. Dalla cisterna danneggiata 21mila tonnellate di diesel si sono riversate nei fiumi e nel sottosuolo, un disastro ambientale di cui ancora non è possibile calcolare le dimensioni, ma che già chiamano la Chernobyl dell’Artico.
E poi ci sono gli incendi, che dopo aver devastato milioni di ettari di foreste nel 2019 quest’anno sono ripresi già in aprile. Krasnojarskij Kraj, Kamchatka, Chukotka: le immagini dal satellite mostrano un’area invasa dal fumo grande quanto metà Europa. Cosa avverrà nei prossimi mesi? Il 20 giugno ha poi fatto notizia il record stabilito dal piccolo villaggio di Verkhoyamsk, 38° in uno dei due luoghi che si contendono il titolo mondiale di “polo del freddo” perché d’inverno si andava oltre i 67° sotto zero. Non lontano da lì, per così dire, per settimane le grandi città siberiane - Novosibirsk, Omsk, Tomsk, Kemerovo - hanno vissuto a 30/35°. «L’Artico e l’Antartide - diceva nel 2017 al Forum di San Pietroburgo lo svedese Frederik Paulsen, imprenditore ed esploratore polare - sono i nostri sistemi di allerta sui cambiamenti ambientali estremi, come i canarini nelle vecchie miniere di carbone». Campanelli d’allarme che di colpo si sono messi a suonare tutti insieme, sempre più forte.
«In realtà, che il clima stia cambiando lo sanno tutti da tempo - spiega Mikhail Yulkin, direttore del Centro per gli investimenti ambientali ad Arkhangelsk -. Ed è noto anche che in Russia cambia più in fretta del resto del pianeta, due volte e mezzo, nell’Artico 4,5 volte più rapidamente. Si sa pure che il riscaldamento globale si ripercuote sullo stato del permafrost, che un tempo chiamavano eterno ma che eterno non è affatto». La sorpresa è la brusca accelerazione di quest’anno e il persistere dell’ondata di calore che ha colpito la Siberia. «Lo scorso inverno - continua Yulkin - si è distinto dai precedenti perché non è stato un inverno. A Mosca la temperatura media è rimasta quasi sempre sopra lo zero, mai visto prima. Lo stesso in Siberia: anche lì l’inverno si è dimenticato di arrivare. Poi siamo passati direttamente all’estate. Dieci, 13°sopra la norma...facevano il bagno in marzo, come in agosto. Dov’è la primavera? Un caldo così, in queste regioni, nessuno se lo aspettava».
«Non solo maggio è stato insolitamente caldo - conferma Freja Vamborg, senior scientist al Copernicus Climate Change Service dell’Unione Europea -, inverno e primavera hanno avuto ripetuti periodi di temperature superiori alla media. Tutto il pianeta si sta scaldando, ma non in modo uniforme. La Siberia occidentale mostra più tendenze al riscaldamento, con le maggiori variazioni nella temperatura». I media locali riferiscono che il ghiaccio dei grandi fiumi, dallo Enisej all’Ob, ha iniziato a spezzarsi in largo anticipo; che già in febbraio gli animali uscivano dal letargo, e che le cortecce degli alberi vengono divorate da tarme giganti.
Sopravvalutare l’impatto che il cambiamento climatico può avere sull’ecosistema siberiano, già alle prese con altri gravissimi problemi di inquinamento, è molto difficile. Nel permafrost, calcola l’Arctic Council, è intrappolato il 50% del carbonio contenuto al suolo, e il rischio che venga rilasciato nell’atmosfera per il rialzo delle temperature - effetto moltiplicato dagli incendi - crea un circolo vizioso che coinvolge l’intero pianeta.
Ma è sufficiente che il permafrost si scaldi, ancor prima di sciogliersi, per diventare instabile, cambiare spessore e perdere capacità di sostegno dei carichi. Un pericolo ancora più immediato, come testimonia il disastro di Norilsk. «Alcune nostre città - diceva Vladimir Putin in dicembre - sono state costruite a Nord del Circolo Polare, sul permafrost. Se inizia a sciogliersi, immaginate le conseguenze». Non si tratta solo di città: vive sul permafrost (65% del territorio russo)il grosso dell’industria energetica da cui dipende l’economia, da qui deriva il 15% della produzione di petrolio e l’80% di gas. Un patrimonio di 300 miliardi di dollari secondo uno studio guidato da Dmitry Streletsky della George Washington University: edifici residenziali che per il 54% potrebbero subire danni per le variazioni del permafrost; altre strutture e infrastrutture a rischio per il 19-20%.
«Sfortunatamente la Russia - denuncia Vasily Yablokov di Greenpeace Russia - non sta facendo abbastanza in questa battaglia». Perché la natura reagisce a una situazione determinata dall’uomo: «Ogni catastrofe ha sempre nome, cognome e patronimico - si accalora Mikhail Yulkin tornando sul disastro di Norilsk -, c’è sempre un fattore umano se il terreno cede, se il ghiaccio si scioglie». Soprattutto, c’è sempre una responsabilità: «Sai che sotto i tuoi impianti non c’è roccia ma ghiaccio. Sai che nella tua regione il clima si scalda più rapidamen€te che altrove nel mondo, e hai un serbatoio con 21mila tonnellate di diesel che potenzialmente può uccidere pesci, renne, orsi, tutto quanto vive laggiù. Certo che sono responsabili. Dovevano controllare quel reservoir con 4 occhi, e non voltarsi dall’altra parte». Lo stesso vale per i pozzi, gli impianti, migliaia di km di gasdotti e oleodotti e case non considerate a rischio, come quella di via Avtodorozhnaja a Yakutsk.
Si temono altri incidenti come quello di Norilsk, dove un serbatoio di carburante ha ceduto