Visti, lo stop di Trump pesa su Silicon Valley e università
L’ordine esecutivo sospende la concessione ai lavoratori altamente specializzati Le aziende: si impedisce di attirare talenti dall’estero Possibile ricorso giudiziario
Donald Trump chiude le porte dell’America all’immigrazione. Anche gli spiragli riservati ai lavoratori altamente qualificati, accademici e executive. L’ultimo ordine esecutivo del presidente, firmato nei giorni scorsi, mette al bando circa mezzo milione di visti, destinati a lavoratori specializzati a cominciare dall’hi-tech che sostengono l’innovazione, per arrivare a au pair, arrivi per scambi culturali e dipendenti stagionali.
La Casa Bianca, nello sforzo di rilanciare la sua campagna elettorale in affanno e in risposta alla crisi da pandemia, ha nuovamente alzato i toni della retorica anti-immigrati, da celebrazioni del muro al confine con il Messico per fermare i clandestini ad accuse contro anonimi “hombre” che minacciano i bianchi. A diventare simbolo di questa crociata sono però oggi le strette sugli arrivi legali oltre che illegali, a cominciare dai visti cosiddetti H-1B: usati da Silicon Valley come da università per rafforzare le loro credenziali accademiche, sono tradizionalmente considerati troppo pochi rispetto alla domanda delle imprese americane e necessari alla loro competitività. Ora saranno vietati fino a fine anno, ufficialmente per proteggere posti di lavoro per gli americani in un clima di elevata disoccupazione. L’anno scorso ne sono stati concessi 188mila.
Trump, che aveva già temporaneamente bloccato la concessione di carte verdi, i permessi di soggiorno permanenti, ha esplicitamente citato oggi come allora il «rischio di danneggiare i lavoratori americani» e gli «interessi dell’economia». In realtà, denunciano le aziende, invia un segnale politico chiaro quanto rischioso e potenzialmente dannoso: allontana, dal 24 giugno, il talento necessario alla salute e ad una futura riscossa dell’economia del Paese. Esentate saranno solo alcune categorie considerate indispensabili, quali lavoratori agricoli e della sanità. Come, ad esempio, alcuni ricercatori post-dottorato.
« È un attacco frontale all’abilità della nostra nazione di trarre vantaggio dall’attirare professionalità dal resto del mondo», ha affermato Todd Schulte, direttore di Fwd. us, associazione pro- immigrazione sostenuta dalla Corporate America. « È un grande problema » , ha fatto sapere Julia Phillips della US Science Foundation. Un recente rapporto ha trovato che il 30% del personale che negli Stati Uniti è impegnato in campi scientifici e in ingegneria è nato all’estero.
Coalizioni di aziende, in una nuova indicazione dello scollamento crescente dell’amministrazione con il business, potrebbero rispondere mobilitandosi per presentare ricorso in tribunale contro il nuovo ordine sull’immigrazione. L’opinione pubblica appare a sua volta meno disposta alle incursioni di Trump, anche quando in gioco sono le occupazioni meno qualificate: un sondaggio del Pew Center ha trovato che il 64% ritiene che gli immigrati svolgano mansioni che gli americani non vogliono. La Casa Bianca ha anche subito di recente alcune sconfitte in tribunale propri sull’immigrazione: la Corte Suprema ha protetto i 700mila Dreamers, clandestini giunti da bambini negli Usa, e una corte d’Appello ha ieri bocciato finanziamenti al muro prelavati dal budget militare.
In dettaglio l’ultimo ordine elimina temporaneamente, oltre agli spacializzati H- 1B anche gli H- 2B, i J-1 e L-1. Gli L-1, 77mila l’anno scorso, sono utilizzati anzitutto da aziende americane e non per trasferire dipendenti e dirigenti da sedi estere. Gli H- 2B, 98mila nel 2019, sono dedicati a lavoratori meno qualificati quali gli stagionali, se le imprese dimostrano d’aver cercato prima assunzioni domestiche. I J- 1 servono a programmi culturali di scambio per brevi periodi, quali internships o, appunto, ragazzi alla pari ( 20mila l’anno scorso) fino ad alcuni ricercatori. I soli lavoratori temporanei che potrebbero essere tenuti fuori dal Paese con la nuova stretta sarebbero 167mila, stando al Migration Policy Institute.
Questo nonostante studi americani abbiano calcolato come l’impatto d’insieme dell’immigrazione non sia mai negativo per gli americani. La National Academy of Sciences ha trovato che contribuisce «alla crescita di lungo termine dell’economia», con scarsi effetti su occupazione e salari dei lavoratori «domestici». In alcuni settori cruciali gli immigrati rappresentano anzi fino un terzo del personale. Un gelo politico potrebbe invece avere effetti particolarmente controproducenti ancora più in momenti di crisi quali l’odierno: durante una recessione, le richieste di immigrazione e di visti diminuiscono naturalmente.