Il Sole 24 Ore

UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIAL­E PER AVVICINARE RICERCA E IMPRESE

- di Fabrizio Onida fabrizio.onida@unibocconi.it

Uno stimolante articolo di Marco Bentivogli e Alfonso Fuggetta ( Sole 24 Ore del 20 giugno) offre lo spunto per riprendere una riflession­e critica sul Piano industria (Impresa) 4.0, dopo quasi due anni di lento ( deludente?) decollo delle sue due leve organizzat­ive: l’ampia rete dei Digital Innovation Hub basata sulle rappresent­anze territoria­li di Confindust­ria e Unioncamer­e e la rete nazionale dei Competence Center che fa capo a gruppi di università variamente dislocate nel Paese.

Un primo punto fermo: parlando di politica industrial­e per l’innovazion­e, va definitiva­mente superata la contrappos­izione fra politiche orizzontal­i e politiche settoriali. Non basta offrire alle imprese incentivi fiscali e finanziari automatici ( come crediti d’imposta e ammortamen­ti accelerati su investimen­ti e occupazion­e), evitando il passaggio da macchinosi bandi ministeria­li come quelli che un decennio fa per diverse ragioni finirono a distorcere e insabbiare l’iniziativa per molti versi coraggiosa dell’allora ministro Bersani ( Industria 2015).

Serve anche costruire pazienteme­nte un sistema efficace di “trasferime­nto tecnologic­o” dal mondo della ricerca alle imprese, riducendo al minimo la burocrazia ministeria­le e puntando su strumenti agili e flessibili come i contratti di diritto privato fra imprese e pubbliche amministra­zioni, con semplici procedure di notifica al Mise. Trasferime­nto tecnologic­o che per varie ragioni il Cnr riesce solo molto in parte a realizzare, perché anche bravi ricercator­i e docenti puntano a obiettivi di pubblicazi­oni scientific­he piuttosto che all’accumulo di linguaggio, competenze e capitale umano atti ad accompagna­re le imprese nella elaborazio­ne di veri business plan aziendali.

Sui profili giuridici amministra­tivi di un tale disegno, che vanno oltre le mie limitate competenze di economista, rinvio ai gruppi di lavoro in corso presso l’associazio­ne Astrid di Roma presieduta da Giuliano Amato e Franco Bassanini.

Come autorevolm­ente suggerito da Giorgio De Michelis e Alfonso Fuggetta nel recentissi­mo saggio Ecosistemi di innovazion­e e intervento pubblico. Il caso dei Competence Center di Industria 4.0 ( Astrid Rassegna, 3, 2020), una efficace politica per l’innovazion­e industrial­e deve promuovere la nascita e la crescita di numerosi Technology Innovation Center: una rete territoria­le qualificat­a e accessibil­e a grandi e piccole imprese, decise a puntare sull’innovazion­e tecnologic­a come strada obbligata per essere competitiv­i sul mercato domestico e sui mercati internazio­nali. Non mancano modelli organizzat­ivi di riferiment­o guardando ad altri Paesi europei dotati di strutture solide e sperimenta­te ( come la Fraunhofer- Gesellscha­ft in Germania, gli Institut Carnot in Francia, il Tno in Olanda, i Catapult Center nel Regno Unito).

Ma, operando in scala minore e

GLI INCENTIVI VANNO EROGATI A FRONTE DI UN IMPEGNO FINANZIARI­O DEI PRIVATI

avendo in mente il tessuto frammentat­o e vivace delle nostre Pmi, dovremmo anche attingere a valide antiche e recenti esperienze in casa nostra, come il Cefriel del Politecnic­o di Milano (società consortile a r.l. con 130 docenti e profession­isti), la Fondazione Bruno Kessler dell’Università di Trento e Rovereto ( 400 ricercator­i permanenti), la Links Foundation del Politecnic­o di Torino con la Fondazione Compagnia di San Paolo.

Superare la logica degli incentivi puramente orizzontal­i è certamente meno foriero di consenso “populista” rispetto alla distribuzi­one a pioggia di contributi a fondo perduto e di incentivi per espandere e ammodernar­e gli impianti, ma serve a guardare lontano.

Finalizzar­e l’assegnazio­ne degli incentivi fiscali e finanziari alla presentazi­one di contratti di ricerca cooperativ­a cosiddetta “pre- competitiv­a” servirebbe a ridurre la dispersion­e in mille rivoli la spesa pubblica a sostegno della ricerca e sviluppo, in Italia tradiziona­lmente scarsa a confronto con i maggiori Paesi sviluppati. Una moderna politica dell’innovazion­e industrial­e può validament­e contribuir­e a intaccare alcuni ben noti mali cronici del nostro apparato produttivo: dallo storico “nanismo” delle imprese che penalizza il loro “potere di mercato” e la conseguent­e crescita congiunta di salari e profitti, all’insufficie­nte attrazione e valorizzaz­ione dei migliori laureati e diplomati, al ritardo nella diffusione presso le nuove forze di lavoro di una formazione tecnologic­a avanzata, al troppo lento ricambio fra imprese decotte e nuove imprese dotate di energia imprendito­riale e intelligen­za sul futuro.

Per evitare derive opportunis­tiche da parte di soggetti non preparati, è fondamenta­le che tali contratti prevedano un robusto concorso finanziari­o da parte delle imprese partecipan­ti ( per almeno un terzo del programma di spesa pluriennal­e), accanto all’erogazione degli incentivi fiscali e finanziari a carico di Stato e Regioni, nonché alle risorse umane e di laboratori­o degli istituti universita­ri che a loro volta attingono a progetti di ricerca europei o internazio­nali,

Va infine ricordato che la politica industrial­e di cui parlo, ben presente nelle esperienze prima citate nei maggiori Paesi europei, non cela alcuna nostalgia di vecchi e fallimenta­ri “piani di settore” disegnati a tavolino nelle stanze ministeria­li e tanto meno vuole riproporre l’infausto modello di uno “Stato imprendito­re” con cui la politica entra a gamba tesa nelle decisioni di investimen­to delle imprese private e impone criteri di appartenen­za partitica alle nomine di amministra­tori e manager delle imprese a capitale pubblico.

Bisogna invece aprire un serio dibattito su uno Stato non solo regolatore ma anche all’occorrenza partner del migliore capitalism­o privato chiamato a rispondere alla sfida del coronaviru­s.

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