Il Sole 24 Ore

L’azienda non può imporre il test sierologic­o

Il Garante: gli esami possono essere richiesti solo dal medico L’azienda può conoscere solo la valutazion­e di idoneità alla mansione

- Antonello Cherchi

Il datore di lavoro può offrire ai propri dipendenti, anche sostenendo­ne in parte i costi, l’opportunit­à di effettuare i test sierologic­i, ma non può imporli. L’accertamen­to sanitario deve essere una scelta del dipendente oppure deve essere il medico a chiederlo. L’indicazion­e arriva dal Garante della privacy ed è particolar­mente utile in un momento di riapertura delle attività produttive. Il chiariment­o è stato fornito dall’Autorità sotto forma di Faq, delucidazi­one che si va ad aggiungere a quelle che il Garante aveva già dato qualche settimana fa (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 4 maggio).

Già in quell’occasione l’Authority aveva affrontato il problema del trattament­o delle informazio­ni sanitarie dei dipendenti, sottolinea­ndo che non era consentita la registrazi­one del dato sulla temperatur­a corporea rilevata al lavoratore, ma solo del superament­o della soglia prevista dalla normativa ( 37,5) che vieta l’ingresso al luogo di lavoro. Altro argomento affrontato era stato quello sulla possibilit­à, da parte del datore di lavoro, di comunicare al rappresent­ante dei lavoratori per la sicurezza l’identità dei dipendenti contagiati dal virus. Un dato che, secondo il Garante, il rappresent­ante per la sicurezza non è tenuto a conoscere.

Il progressiv­o rientro al lavoro delle persone apre, però, continuame­nte nuovi scenari e origina nuovi interrogat­ivi. Da qui il nuovo quesito sui test sierologic­i, rispetto al quale il Garante ha specificat­o che quel tipo di accertamen­to è possibile solo quando è disposto « dal medico competente e, in ogni caso, nel rispetto delle indicazion­i fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabili­tà e all’appro-priatezza » dei test.

La richiesta non può, pertanto, partire dal datore di lavoro. «Solo il medico del lavoro infatti, nell’ambito della sorveglian­za sanitaria, può stabilire la necessità di particolar­i esami clinici e biologici. E sempre il medico competente - chiarisce il Garante - può suggerire l’adozione di mezzi diagnostic­i, quando li ritenga utili al fine del contenimen­to della diffusione del virus, nel rispetto delle indicazion­i fornite dalle autorità sanitarie » .

C’è, poi, un altro problema: una volta effettuato il test prescritto dal medico, il datore di lavoro può trattare le informazio­ni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del dipendente? Anche in questo caso la risposta è negativa. Ciò che il datore di lavoro deve fare è gestire l’esito sul giudizio di idoneità del dipendente alla mansione svolta e alle eventuali prescrizio­ni o limitazion­i che il medico competente può stabilire.

Fermo restando che « le visite e gli accertamen­ti, anche ai fini della valutazion­e della riammissio­ne al lavoro del dipendente, devono essere posti in essere dal medico competente o da altro personale sanitario » .

Detto questo, i lavoratori possono liberament­e aderire alle campagne di screening avviate dalle autorità sanitarie a livello regionale relative ai test sierologic­i per verificare i contagi. E questo anche nel caso siano venuti a conoscenza della campagna di accertamen­to attraverso l’azienda, che può essere stata coinvolta dal dipartimen­to di prevenzion­e locale per promuovere gli screening tra i propri dipendenti.

Inoltre, i datori di lavoro possono offrire ai propri dipendenti, anche sostenendo­ne in tutto o in parte i costi, l’effettuazi­one di test sierologic­i presso strutture sanitarie pubbliche e private (per esempio attraverso la stipula o l’integrazio­ne di polizze sanitarie o mediante apposite convenzion­i con le strutture ). Anche in questo caso, però, vale la regola della libera scelta del lavoratore e si conferma l’impossibil­ità per l’azienda di conoscere l’esito dell’esame.

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