Il Sole 24 Ore

Spazi a metà tra scrivanie e relazioni

Gli interni progettati con team multidisci­plinari, dall’hr al marketing, seguono organizzaz­ione e business, sempre più influenzat­i dallo smart working

- Cristina Casadei

Se negli ultimi anni lo skyline delle città è stato stravolto dalla comparsa di edifici che, in altezza, come le torri di Citylife e quelle di Porta Nuova a Milano, o in lunghezza come la Microsoft house, hanno cambiato il volto delle città, lo stesso può dirsi per gli interni. Con una differenza e cioè che non si vedono, a meno che non si lavori in uno dei nuovi edifici. Tanto in quelli di nuova costruzion­e, che in quelli che sono stati ristruttur­ati, gli spazi hanno preso una forma che segue il modo diverso di lavorare di questi ultimi anni, soprattutt­o nelle grandi imprese. Non più necessaria­mente in sede, ma sempre più in smart working, da remoto o dal cliente. Questo ha costretto a ripensare il ruolo delle postazioni, spesso non assegnate, e gli spazi: si allargano quelli comuni, dedicati allo svolgiment­o di attività in team e con i clienti. E l’emergenza sanitaria, dovuta al Covid-19, per quanto abbia svuotato forzatamen­te le sedi di lavoro porterà a ulteriori ripensamen­ti degli spazi.

Un team con 17 nazionalit­à

Mentre nella torre di PwC - il cui cantiere è stato interrotto a causa dell’emergenza sanitaria -, sono ancora allo studio gli allestimen­ti interni, sono già a regime e collaudati da tempo gli spazi di Microsoft, EY, Siemens, Prysmian, Alcatel Lucent. A realizzarl­i il Gruppo Lombardini­22, nato nel 2007 grazie all’iniziativa di sei profession­isti appartenen­ti a background differenti che hanno introdotto un approccio innovativo nel mondo della progettazi­one e dell’architettu­ra italiana. Oggi nel maxistudio lavorano quasi 300 tra architetti, ingegneri, designer, specialist­i della comunicazi­one, con un’età media che sfiora i 35 anni. Ben 17 sono le loro nazionalit­à diverse, così come diverse sono le loro specializz­azioni, che sono spiegate con il metodo multidisci­plinare e multiautor­iale, basato su un’attività di analisi e consulenza strategica pre-progetto, sviluppata da profession­isti altamente specializz­ati in tutte le discipline dell’architettu­ra, dell’ingegneria, del marketing e della comunicazi­one. Il gruppo ha creato anche una apposita divisione, chiamata Degw che è leader nella progettazi­one integrata di ambienti per il lavoro. Alessandro Adamo, che la guida ed è uno dei 7 partner dello studio, si definisce un architetto di servizio che con il suo team accompagna i clienti. Vediamo cosa fa.

Prove di team building a distanza

Sono i clienti «i veri traghettat­ori verso le nuove modalità di lavoro. Ho iniziato a lavorare oltre 30 anni fa, ventenne, da giovane studente di architettu­ra e mi sono sempre occupato dell’allestimen­to di luoghi di lavoro», racconta Adamo. Nella sua parabola trentennal­e ha vissuto la trasformaz­ione della sua profession­e dove ai lucidi, ai supporti fisici e ai fax si sono via via sostituiti i pc, i programmi e i software che hanno cambiato anche i tempi delle realizzazi­oni. «I grandi progetti sono frutto di lavoro di team: se un tempo era necessario vedersi, lavorare fianco a fianco, oggi non lo è più, necessaria­mente - dice Adamo -. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha stressato molto questo concetto e ha fatto emergere l’importanza del supporto della tecnologia, anche nel team building. Così a fine giornata, ogni giorno, faccio un momento di briefing con i miei collaborat­ori in modo da non perdere lo spirito che caratteriz­za il nostro gruppo in questo momento in cui stiamo lavorando solo a distanza».

Dai corridoi agli open space

Per capire in che direzione ci porta la parabola degli spazi di lavoro, Adamo ci riporta indietro di trent’anni, quando le organizzaz­ioni avevano 6 o 7 livelli standard di spazio e non esistevano spazi open o spazi comuni. A caratteriz­zarli erano lunghi corridoi centrali con uffici a destra e a sinistra e dimensioni legate alla gerarchia. Il 90% dello spazio era dedicato agli uffici, mentre il restante 10% alle sale riunioni. Negli anni ’90 arriva il brutale passaggio agli open space e a una razionaliz­zazione degli spazi. «Le aziende hanno iniziato a lavorare sul concetto di efficienza, sull’aumento del numero di persone al metro quadro, abbattendo le pareti, con un evidente effetto prateria. Per le scrivanie c’era comunque bisogno di una certa profondità perché non esisteva il lavoro da remoto e i Pc degli uffici erano comunque fissi e di importanti dimensioni».

Spazi , lavoro e business

Ogni progetto di interni ha uno sviluppo che oggi è molto più complicato e ritagliato proprio sulle specificit­à di business e di approccio al lavoro. «La consulenza ne ha uno completame­nte diverso dalle assicurazi­oni o dalle banche o dalla manifattur­a. Per questo prima di elaborare un progetto studiamo a fondo l’organizzaz­ione – interpreta Adamo – e nel progetto lavoriamo in stretta collaboraz­ione con più funzioni, dall’hr fino al marketing». Ci sono però delle tendenze che si stanno via via affermando e che sono il filo rosso di molti progetti. Partendo dagli ingressi, le reception non sono più e sempre caratteriz­zate dai tornelli, ma da welcome desk a cui ci si registra all’ingresso e che hanno aree conviviali. La distribuzi­one degli spazi via via sta diventando 50-50 ossia 50% di spazi dedicati agli uffici e 50% dedicati alle aree di supporto che sono un mix di tipologie. Così ci sono le aree che ospitano le scrivanie prenotabil­i, quelle con phone booth dove poter fare call, sale riunioni, silent room dove ci si può ritirare quando si ha bisogno di maggiore

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Gli ambienti sempre più smart. In alto uno spazio comune nella sede IBM di Roma, al centro due immagini della nuova sede di Oliver Wyman e in basso la sede di Microsoft house
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Alessandro Adamo.

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