IL VALORE DELLA SOBRIETÀ E GLI AIUTI
La sobrietà non sembra essere ritenuta più un valore in quest’epoca dello show, del mostrarsi, nella quale la comunicazione è assurta al rango di funzione fondamentale in tutte le organizzazioni complesse e le tecniche di comunicazione sono ormai considerate scienza. La sobrietà è vista come un limite alla capacità di promuovere i propri prodotti, le proprie idee e sé stessi. L’imperante cultura dell’apparire rispetto all’essere può però causare gravi danni se interferisce con i processi decisionali e persino con le analisi, distorcendone i risultati perché induce a preferire, anche inconsapevolmente, le soluzioni che si possono comunicare meglio e che è più facile che possano trovare un immediato plauso.
In questo frangente di eccezionale crisi sanitaria, che inevitabilmente comporterà anche una profonda crisi economica e forse pure sociale e politica, la reazione di tutti i governi è stata di aumentare grandemente il sostegno pubblico all’economia annunciando pacchetti per importi immensi, mai sentiti in passato, e la distribuzione di denaro a pioggia a tutti i cittadini. I confronti, non solo nei media ma anche nelle ricerche delle principali banche d’investimento, sono tutti incentrati sulla dimensione degli interventi pubblici quale riflesso di una gara tra i governi a chi annunciava il sostegno più grande, nella quale i Paesi meno robusti finanziariamente hanno finito anche con indicare numeri probabilmente non realistici. La grande enfasi mediatica data agli interventi straordinari di politica fiscale potrebbe rivelarsi controproducente sul piano della percezione emotiva da parte dei cittadini se questi interventi si dovessero dimostrare insufficienti, perché finirebbero con l’aver accresciuto la sensazione di drammaticità della situazione senza essere riusciti a rassicurare.
Non è importante solo la dimensione dei sostegni statali ed europei ma anche la qualità degli interventi pubblici. L’urgenza, e l’ansia di non essere adeguati alle esigenze del momento, non deve andare a scapito della effettiva efficacia dei provvedimenti la quale dovrebbe essere misurata sulla base degli studi disponibili, svolti con metodo scientifico, degli effetti che ciascuna opzione di intervento, astrattamente adottabile, potrebbe determinare sul comportamento dei consumatori e delle imprese in un contesto di crisi economica generata dalla diffusione globale di un virus sconosciuto che sta provocando molti morti. Non sfugge che i modelli di analisi economica devono abbeverarsi alle conoscenze di psicologia e di sociologia per cercare di immaginare le reazioni comportamentali che rispondono a funzioni di utilità diverse da quelle più tradizionali.
Una prima necessità è risolvere il problema di coloro che, lavorando in precedenza in condizioni precarie (in altre parole arrangiandosi) hanno perduto qualsiasi fonte necessaria per la sussistenza; per raggiungere con sicurezza e rapidità i cittadini in queste condizioni, senza sprechi di risorse scarse, occorre conoscerli e quindi è meglio affidarsi al terzo settore, per esempio attraverso le fondazioni storicamente originate dalle banche, le quali istituzionalmente da decenni sostengono le comunità del loro territorio, e agli enti locali, regioni e soprattutto i comuni che hanno il vantaggio della prossimità; in questo frangente l’esistenza in Italia di tanti piccoli comuni è un punto di forza che va utilizzato.
Una seconda necessità è dare un segnale di vicinanza dello Stato a tutti i cittadini così duramente colpiti. Lo Stato, prima di erogare denaro, dovrebbe evitare di prelevarlo, ma in via definitiva non solo mediante rinvii del prelievo; per esempio, moltissimi italiani sono, come è noto, proprietari di case e quindi basterebbe cancellare l’Imu sulla prima casa e ovviamente trasferire ai comuni il gettito che perderanno; similmente si potrebbe cancellare il bollo dell’auto o agire su altre imposte che incidono sugli affitti di case facendo in modo che i risparmi di imposta vadano a riduzione dei canoni, attuando così interventi più certi, efficienti e quindi maggiormente rassicuranti. Queste tipologie di sostegni non hanno però effetti duraturi sull’economia perché non possono essere ripetuti per il tempo, non breve, in cui la domanda di beni e servizi sarà debole. Occorre incidere sull’occupazione e quindi sui datori di lavoro, imprese piccole e grandi, produttive e dei servizi, queste ultime in prospettiva ancora più importanti. Bisogna sostenere direttamente le imprese che sceglieranno di non licenziare e ancor di più quelle che saranno in grado di assumere e quindi bisogna sostenere le aziende più promettenti, senza confondere solidarietà con assistenzialismo. La comunicazione spinge verso il sostegno delle piccole e medie imprese ma sono le grandi che, se sostenute con risorse pubbliche, sono in grado di fare in breve tempo nuovi investimenti, anche con tecnologie innovative, e creare nuovi posti di lavoro. Le piccole e medie imprese devono essere supportate per consentire a quelle sane e con prospettive di superare la fase di temporanea difficoltà. La garanzia dello Stato è certamente essenziale ma, se mal gestita, può produrre effetti negativi per l’economia perché potrebbe determinare un meccanismo di selezione avversa, nel senso che ricorrono all’agevolazione in prevalenza le imprese senza futuro. Occorre perciò identificare una procedura che permetta alle banche, che sono il canale di contatto principale con le piccole e medie imprese, di selezionare quelle davvero meritevoli in una logica prospettica e, se si è rigorosi nella selezione, potrebbe essere fondamentale che lo Stato dia a queste imprese più promettenti risorse a fondo perduto affinché possano accelerare i progetti di investimento e così contribuire alla tenuta e alla crescita dei livelli occupazionali. Ordinario di Economia degli Intermediari
Università Cattolica di Milano
1400
Sarebbero circa 1.400 i miliardi di euro tra depositi e conti correnti. La cifra rappresenta il 32% del patrimonio finanziario delle famiglie italiane