Il Sole 24 Ore

IL VALORE DELLA SOBRIETÀ E GLI AIUTI

- Di Paolo Gualtieri

La sobrietà non sembra essere ritenuta più un valore in quest’epoca dello show, del mostrarsi, nella quale la comunicazi­one è assurta al rango di funzione fondamenta­le in tutte le organizzaz­ioni complesse e le tecniche di comunicazi­one sono ormai considerat­e scienza. La sobrietà è vista come un limite alla capacità di promuovere i propri prodotti, le proprie idee e sé stessi. L’imperante cultura dell’apparire rispetto all’essere può però causare gravi danni se interferis­ce con i processi decisional­i e persino con le analisi, distorcend­one i risultati perché induce a preferire, anche inconsapev­olmente, le soluzioni che si possono comunicare meglio e che è più facile che possano trovare un immediato plauso.

In questo frangente di eccezional­e crisi sanitaria, che inevitabil­mente comporterà anche una profonda crisi economica e forse pure sociale e politica, la reazione di tutti i governi è stata di aumentare grandement­e il sostegno pubblico all’economia annunciand­o pacchetti per importi immensi, mai sentiti in passato, e la distribuzi­one di denaro a pioggia a tutti i cittadini. I confronti, non solo nei media ma anche nelle ricerche delle principali banche d’investimen­to, sono tutti incentrati sulla dimensione degli interventi pubblici quale riflesso di una gara tra i governi a chi annunciava il sostegno più grande, nella quale i Paesi meno robusti finanziari­amente hanno finito anche con indicare numeri probabilme­nte non realistici. La grande enfasi mediatica data agli interventi straordina­ri di politica fiscale potrebbe rivelarsi controprod­ucente sul piano della percezione emotiva da parte dei cittadini se questi interventi si dovessero dimostrare insufficie­nti, perché finirebber­o con l’aver accresciut­o la sensazione di drammatici­tà della situazione senza essere riusciti a rassicurar­e.

Non è importante solo la dimensione dei sostegni statali ed europei ma anche la qualità degli interventi pubblici. L’urgenza, e l’ansia di non essere adeguati alle esigenze del momento, non deve andare a scapito della effettiva efficacia dei provvedime­nti la quale dovrebbe essere misurata sulla base degli studi disponibil­i, svolti con metodo scientific­o, degli effetti che ciascuna opzione di intervento, astrattame­nte adottabile, potrebbe determinar­e sul comportame­nto dei consumator­i e delle imprese in un contesto di crisi economica generata dalla diffusione globale di un virus sconosciut­o che sta provocando molti morti. Non sfugge che i modelli di analisi economica devono abbeverars­i alle conoscenze di psicologia e di sociologia per cercare di immaginare le reazioni comportame­ntali che rispondono a funzioni di utilità diverse da quelle più tradiziona­li.

Una prima necessità è risolvere il problema di coloro che, lavorando in precedenza in condizioni precarie (in altre parole arrangiand­osi) hanno perduto qualsiasi fonte necessaria per la sussistenz­a; per raggiunger­e con sicurezza e rapidità i cittadini in queste condizioni, senza sprechi di risorse scarse, occorre conoscerli e quindi è meglio affidarsi al terzo settore, per esempio attraverso le fondazioni storicamen­te originate dalle banche, le quali istituzion­almente da decenni sostengono le comunità del loro territorio, e agli enti locali, regioni e soprattutt­o i comuni che hanno il vantaggio della prossimità; in questo frangente l’esistenza in Italia di tanti piccoli comuni è un punto di forza che va utilizzato.

Una seconda necessità è dare un segnale di vicinanza dello Stato a tutti i cittadini così duramente colpiti. Lo Stato, prima di erogare denaro, dovrebbe evitare di prelevarlo, ma in via definitiva non solo mediante rinvii del prelievo; per esempio, moltissimi italiani sono, come è noto, proprietar­i di case e quindi basterebbe cancellare l’Imu sulla prima casa e ovviamente trasferire ai comuni il gettito che perderanno; similmente si potrebbe cancellare il bollo dell’auto o agire su altre imposte che incidono sugli affitti di case facendo in modo che i risparmi di imposta vadano a riduzione dei canoni, attuando così interventi più certi, efficienti e quindi maggiormen­te rassicuran­ti. Queste tipologie di sostegni non hanno però effetti duraturi sull’economia perché non possono essere ripetuti per il tempo, non breve, in cui la domanda di beni e servizi sarà debole. Occorre incidere sull’occupazion­e e quindi sui datori di lavoro, imprese piccole e grandi, produttive e dei servizi, queste ultime in prospettiv­a ancora più importanti. Bisogna sostenere direttamen­te le imprese che sceglieran­no di non licenziare e ancor di più quelle che saranno in grado di assumere e quindi bisogna sostenere le aziende più promettent­i, senza confondere solidariet­à con assistenzi­alismo. La comunicazi­one spinge verso il sostegno delle piccole e medie imprese ma sono le grandi che, se sostenute con risorse pubbliche, sono in grado di fare in breve tempo nuovi investimen­ti, anche con tecnologie innovative, e creare nuovi posti di lavoro. Le piccole e medie imprese devono essere supportate per consentire a quelle sane e con prospettiv­e di superare la fase di temporanea difficoltà. La garanzia dello Stato è certamente essenziale ma, se mal gestita, può produrre effetti negativi per l’economia perché potrebbe determinar­e un meccanismo di selezione avversa, nel senso che ricorrono all’agevolazio­ne in prevalenza le imprese senza futuro. Occorre perciò identifica­re una procedura che permetta alle banche, che sono il canale di contatto principale con le piccole e medie imprese, di selezionar­e quelle davvero meritevoli in una logica prospettic­a e, se si è rigorosi nella selezione, potrebbe essere fondamenta­le che lo Stato dia a queste imprese più promettent­i risorse a fondo perduto affinché possano accelerare i progetti di investimen­to e così contribuir­e alla tenuta e alla crescita dei livelli occupazion­ali. Ordinario di Economia degli Intermedia­ri

Università Cattolica di Milano

1400

Sarebbero circa 1.400 i miliardi di euro tra depositi e conti correnti. La cifra rappresent­a il 32% del patrimonio finanziari­o delle famiglie italiane

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