Alimentare, Unigrà risponde ai dazi con la filiera italiana
Il nazionalismo alimentare non sta provocando danni all’approvvigionamento
Per chi, come il gruppo agroindustriale romagnolo Unigrà, ha alle spalle la forza di filiere 100% made in Italy e magazzini di stoccaggio di proprietà, il Covid-19 si sta traducendo non in una débacle economica, bensì in una grande sfida riorganizzativa. «Non abbiamo avuto particolari problemi di approvvigionamento dall’estero, anche perché siamo molto efficienti grazie al deposito costiero Italterminali (di nostra proprietà), attraverso il quale gestiamo l’arrivo e lo stoccaggio delle materie prime in arrivo al porto di Ravenna. Contiamo inoltre su una filiera completamente italiana della soia e del riso, che coltiviamo nella nostra azienda agricola Dante in provincia di Ferrara, e questo ci ha permesso di rispondere in maniera efficace alla grande richiesta di prodotti di largo consumo (a marchio OraSì, ndr) avvenuta da fine febbraio fino ad oggi», spiegano i vertici dell’azienda nata nel 1972 a Conselice (Ravenna) e diventata leader nella produzione di ingredienti e semilavorati di origine vegetale per il settore alimentare, dolciario in particolare.
Il gruppo Unigrà è oggi una multinazionale di 1.150 dipendenti, 670 milioni di euro di fatturato per il 40% export, con 16 consociate estere, due nuovi stabilimenti produttivi in Brasile e Malesia e una presenza commerciale in più di 100 Paesi nel mondo. Cacao e olii vegetali vengono importati, a differenza della soia, ma non si sono registrati fin qui problemi di approvvigionamento, anche in virtù della scelta che affonda nel passato di affidarsi a filiere di qualità. E il “nazionalismo alimentare” che sta emergendo in tutto il globo in questa fase di pandemia non ha finora spostato le previsioni di budget di Unigrà: «Dopo lo scoppio dell’emergenza Covid-19 hanno funzionato particolarmente i prodotti di largo consumo, come bevande e creme vegetali, e le forniture di ingredienti verso alcune tipologie di industrie alimentari. I canali del fuori casa si sono fermati, ma nel largo consumo pur essendo diminuita del 20% la frequenza di visita è aumentato lo scontrino medio e sono cresciuti di oltre il 40% i negozi di prossimità», spiega il gruppo. La rivoluzione logistica è andata di pari passo, nell’enorme impianto di Conselice (dove lavorano 600 addetti) con l’impegno a garantire la continuità produttiva, «tanto che abbiamo deciso un piano straordinario di bonus salariali per i nostri lavoratori che hanno garantito con grande responsabilità e attaccamento aziendale che la filiera alimentare non venisse interrotta: in aggiunta ai 100 euro previsti dal Decreto Cura Italia, abbiamo attivato non solo una copertura assicurativa sanitaria per tutti i propri lavoratori dipendenti in caso di contrazione del Covid-19, ma abbiamo previsto il riconoscimento di una maggiorazione di stipendio di 750 euro lordi agli addetti di produzione, logistica e servizi, per il periodo che va dal 9 marzo al 24 aprile, parametrati all’effettiva presenza in azienda», sottolinea Gian Maria Martini, amministratore delegato del gruppo, fondato dal padre Luciano, che ha innescato negli ultimi dieci anni 250 milioni di euro di investimenti, con una crescita dei ricavi vicina al 70% e organici quasi triplicati.