Cantieri italiani chiusi, via libera ai concorrenti tedeschi e olandesi
Il lockdown pressoché totale imposto all’industria della nautica italiana dall’epidemia di coronavirus deve fare i conti anche col differente comportamento dei cantieri competitor in altri Paesi europei. Ad esempio, sottolinea Lamberto Tacoli, presidente di Perini navi, in Germania, Olanda e nell’area dei Paesi Bassi «tutte le attività produttive dei cantieri sono operative, sia pure con un ridotto numero di personale e applicando le possibili precauzioni».
Non è facile fare un computo puntuale dell’apertura dei cantieri in Germania e Olanda perché le autorizzazioni al lavoro sono specifiche e vengono rilasciate non dai Governi centrali dei due Paesi, ma dalle autorità territoriali o regionali. Tuttavia secondo Sybass (la Superyacht builders association, che raggruppa i costruttori di yacht da 40 metri in su), in Olanda, in linea di massima, i cantieri lavorano con una percentuale ridotta al 40-50%. In Germania, i cantieri Lurssen e Abeking & Rasmussen, specializzati nella costruzione di grandi yacht, stanno lavorando al 60%.
Una situazione ben diversa da quella dell’industria nautica italiana che, come è emerso nei giorni scorsi dal report messo a punto da Confindustria nautica, si ritrova col 90% delle aziende al palo: il 57% delle imprese risulta, infatti, non operativo e il 33% solo parzialmente operativo e comunque con un fermo totale della produzione. E se è vero che i cantieri olandesi e tedeschi alcune difficoltà comunque le hanno, dal momento che le catene dei fornitori, molti dei quali italiani, sono ferme, e questo rallenta inevitabilmente l’operatività e rende incompleto il ciclo produttivo, resta il fatto che i loro omologhi italiani soffrano molto di più, con uno stop di fatto completo. «È logico - dice Tacoli - che non si possano avere regole uguali in Paesi diversi, con differenti incidenze di contagio. Se l’Olanda è meno colpita dal virus è chiaro che impone misure meno restrittive. Ma è evidente che i cantieri italiani risultano più penalizzati dei competitor, anche se su fasce di barche un po’ diverse, visto che i tedeschi e gli olandesi realizzano soprattutto scafi dai 40-50 metri in su e noi italiani soprattutto dai 20 ai 50 metri».
Secondo Tacoli, «bisogna anche pensare che normalmente in aprile-maggio, da un lato, si finiscono i rimessaggi per mettere le barche in mare, dall’altro, i cantieri iniziano le consegne ai clienti delle imbarcazioni di nuova costruzione». Secondo Tacoli, dunque, è assolutamente necessario per il settore, tornare gradualmente alla produttività in tempi non lunghi, sia pure con tutte le cautele del caso. Una posizione che è anche quella di Confindustria nautica, che ha appena presentato al Governo un piano per la riapertura progressiva del comparto, approvato da un consiglio generale di settore che si è riunito in teleconferenza. «Quel meeting – afferma Tacoli, già presidente di Nautica italiana, l’associazione da poco riunitasi con Ucina sotto il cappello comune di Confindustria nautica – è stato un momento importante in cui siamo stati tutti uniti. È un bel segnale che un’industria leader nel mondo abbia ritrovato l’unità e stia affrontando coesa un momento così difficile. Io sono stato tra i primi a volere la chiusura del mio cantiere, perché mi sembrava assurdo rischiare che si propagasse il contagio da coronavirus. Tuttavia, poiché la nautica è un’industria anche stagionale, ora ci vuole un ritorno alla produzione, seppure cauto e graduale, che consenta di riportare le barche in acqua. Certamente deve essere fatto con il supporto del Governo, individuando precisamente i codici Ateco che possono tornare all’operatività e con tutte le cautele, per non rischiare ricadute nel contagio. Ma va fatto».
Tacoli (Perini): in Germania e Paesi Bassi «Tutte le produzioni sono operative»