Assenteisti Pa, cade la condanna mediatica
Addio alla condanna erariale automatica che chiede almeno sei mesi di stipendio ai dipendenti pubblici colti in flagranza a timbrare il cartellino senza poi andare in ufficio. La norma viene cancellata dall’ordinamento dalla Corte costituzionale con la sentenza 61/2020 (presidente e relatore Carosi). Scompare l’automatismo ma ovviamente restano le sanzioni, erariali (danno d’immagine compreso) e disciplinari (licenziamento).
In settimane di smart working più o meno generalizzato la questione può sembrare secondaria. Ma ai tempi della riforma Madia che nel 2017 l’aveva introdotta, questa regola era stata al centro di un dibattito vivace, e ha poi guidato l’azione delle Corti dei conti che l’hanno dovuta applicare. Fino ai dubbi sollevati dalla Corte dell’Umbria, che ha girato il tema alla Consulta dove la norma è stata bocciata. Una bocciatura che come sempre vale anche per il passato, oltre a incidere sulle decisioni future dei magistrati contabili.
A determinare l’ennesimo inciampo costituzionale della riforma Madia è un eccesso di delega; perché sul punto la legge di avvio della riforma (la 124 del 2015) aveva chiesto al governo di blindare in tempi certi il processo disciplinare, non di introdurre nuove tipologie di responsabilità amministrativa. Passo che invece la norma compie confezionando una sanzione su misura per l’assenteista colto sul fatto direttamente o tramite videoregistrazione . L’articolo 76 della Costituzione non permette al governo di uscire dal seminato della delega ricevuta dal Parlamento. Per cui la norma scompare.
Ma fin dalla sua comparsa le perplessità si erano concentrate sul contenuto della legge, per due ragioni: l’imposizione ai giudici di una condanna minima (sei mesi di stipendio), e l’obbligo di valutare la gravità anche in base «alla rilevanza del fatto sui mezzi di informazione». Un curioso parametro mediatico. Ora caduto, anche se per eccesso di delega.