«Il Brasile tutela l’Amazzonia I nostri problemi sono altri»
Il vicepresidente brasiliano: «Abbiamo 12 milioni di disoccupati e 25 di precari»
Non è facile dipanare la matassa delle avventure e disavventure degli ultimi presidenti brasiliani: crescite economiche impetuose, scandali, impeachment, recessioni e scontri frontali all’interno della società.
Il vicepresidente del Brasile, Antonio Hamilton Martins Mourão, a Roma per la canonizzazione di Suor Dulce, al secolo Maria Rita de Souza Brito Lopes Pontes, accetta di affrontare, con il Sole 24 Ore, temi di attualità ambientale, economica e politica che interessano il suo Paese. «L’Amazzonia - dice in sintesi - è tutelata dal governo, le regole vengono rispettate e non ci sono problemi di distruzione dell’ambiente. I problemi del Brasile sono altri: ci sono 12 milioni di disoccupati e 25 milioni di lavoratori precari. Oltre a una bassa produttività del lavoro».
Vicepresidente, nelle ultime settimane il tema Amazzonia ha occupato le prime pagine di tutti i giornali europei. C’è grande preoccupazione per questo patrimonio che geograficamente appartiene al Brasile ma simbolicamente all’umanità.
Va spiegato un concetto: l’Amazzonia è costituita da due aree, il Bioma (ovvero il cuore dell’area, ndr) e la cosiddetta Amazzonia Legale, formata da savana e cerrado. Il 60% del territorio amazzonico, ovvero il Bioma, è protetto, così come gli indigeni che la abitano. Ma vi è un 20% che può essere sfruttato. Purtroppo in Europa si crede che i brasiliani stiano distruggendo l’Amazzonia. Non è così.
Gli incendi che hanno divorato grandi estensioni di verde hanno fatto il giro del mondo.
Vi sono incendi, è vero. Alcuni spontanei, altri dolosi. Ma va specificato che, tra agosto e ottobre, gli incendi sono un fenomeno naturale. È previsto che brucino, anche per rendere più fertile il terreno. Sono aumentati gli allevamenti in Amazzonia e alcuni terreni vengono sfruttati per aumentare la produzione.
L’accordo tra Unione europea e Mercosur, siglato di recente, rischia di essere vanificato. L’Austria si è già tirata indietro. E i Verdi, in Francia e Germania, sono partiti molto forti che contestano Bolsonaro. Non si dimentichi che il Brasile (Paese di 210 milioni di abitanti) produce cibo per un miliardo di persone. Una produzione gigantesca che avviene senza ulteriori espansioni dell’agrobusiness. Noi preserviamo il nostro suolo da cui possiamo ottenere tre raccolti all’anno. C’è una rotazione dei pascoli. E in ogni caso va ricordata la matrice energetica del Brasile: l’80% proviene da fonti rinnovabili e solo il 20% da petrolio e carbone. Ribadisco che il Brasile è molto impegnato sulle questioni ambientali e rispetta gli Accordi sul clima di Parigi. Il tema della protezione ambientale è prioritario. Ebbene, il Brasile è parte della soluzione, non del problema.
La comunicazione politica del presidente Bolsonaro, che ha rilasciato dichiarazioni omofobe e contro la parità di genere, provoca sconcerto in Europa. Lei ritiene che ciò abbia alimentato le polemiche sull’Amazzonia?
Ci sono state interpretazioni forzate, da parte degli europei. Quella del presidente Bolsonaro è una retorica politica, niente di più, ma il Paese è democratico e i diritti sono garantiti per tutti. I veri problemi del Paese non sono questi, sono altri.
Quali?
Sono due i nodi principali. Abbiamo un disavanzo molto alto, riconducibile a infrastrutture insufficienti, corruzione diffusa e una cattiva gestione ereditata dalle precedenti presidenze. Bisogna attuare la riforma fiscale. Il secondo nodo è il sistema tributario caotico. Gli obiettivi del nostro governo sono tre: aumentare la produttività, rilanciare le privatizzazioni e snellire la burocrazia a favore delle Pmi.
Le imprese italiane sono molto interessate al Brasile ma spaventate dai dazi e dal sistema fiscale. Ci sono margini per un miglioramento? Le imprese italiane sono benvenute, molte sono già attive in loco; i settori più interessanti sono questi: energia, concessioni ferroviarie e autostradali, Difesa. È un grande momento, un’occasione per rafforzare le relazioni economiche bilaterali. La semplificazione fiscale è in cima alla nostra agenda.
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Dovremo ridurre il disavanzo, attuare la riforma delle pensioni e semplificare il sistema tributario per favorire le Pmi