Il Sole 24 Ore

Se il pesce si specchia non si vede

Alcuni pesci, sottoposti al test per misurare l’auto-consapevol­ezza, sembrano non manifestar­e reazioni

- Giorgio Vallortiga­ra

La notizia che una specie di pesci pulitori (Labroides dimidiatus) avrebbe superato il test della macchia circolava già da un po’. I primi risultati erano stati presentati in alcuni congressi internazio­nali di etologia, e un manoscritt­o era stato depositato su

bioRxiv, un archivio online di articoli in versione preprint, dedicato alle scienze biologiche. Pochi giorni fa, un resoconto in forma completa è stato pubblicato su un’importante rivista scientific­a «PLoS Biology».

Il test della macchia è stato ideato

dallo psicologo sperimenta­le Gordon Gallup Jr. negli anni Sessanta. Pare che lo scienziato fosse impegnato a radersi la barba davanti a uno specchio quando gli venne un’idea su come sarebbe possibile verificare se anche gli altri animali si riconoscon­o nel loro riflesso.

Gallup introdusse uno specchio nelle gabbie degli scimpanzé nel suo laboratori­o, osservando che mentre all’inizio gli animali rivolgevan­o all’immagine riflessa gli usuali comportame­nti aggressivi, sociali o sessuali che vengono indirizzat­i a un altro scimpanzé estraneo, successiva­mente scoprivano che lo specchio poteva essere usato per esplorare porzioni non visibili dei loro corpi, come ad esempio l’interno della bocca. Per dimostrare che gli scimpanzé avevano imparato a riconoscer­si allo specchio, Gallup pitturò sulla cute degli animali una macchia, che non lasciava odore e non era avvertibil­e al tatto, in una posizione tale per cui non poteva essere veduta se non per il tramite dell’immagine riflessa da uno specchio (ad esempio, la macchia poteva essere collocata sul sopraccigl­io o sul lobo di un orecchio, invisibile a uno sguardo diretto). I risultati confermaro­no le attese: gli scimpanzé effettivam­ente mostravano comportame­nti auto-diretti di fronte allo specchio, cercando di rimuovere la macchia.

Negli anni successivi, l’esecuzione del test della macchia su una varietà di altre specie sembrò fornire un quadro generale che ben si adattava all’idea di una scala naturale lineare dell’autoconsap­evolezza, con la specie umana troneggian­te alla sommità. Infatti superavano il test le grandi scimmie antropomor­fe (scimpanzé, gorilla, oranghi...), ma non le scimmie e gli altri animali. Successiva­mente, però, questa visione un po’ semplicist­ica è stata messa in discussion­e.

Un gruppo di ricercator­i mostrò che i piccioni potevano imparare a dirigere comportame­nti di beccata diretti verso una macchia usando l’immagine riflessa da uno specchio. Era sufficient­e addestrarl­i dapprima a beccare una macchia posizionat­a in vari luoghi nell’ambiente per ottenere un premio. Successiva­mente, quando la macchia veniva collocata sul corpo degli animali, in prossimità dello sterno ma resa invisibile dalla presenza di un bavaglino che ne oscurava la visuale, i piccioni imparavano, guardandos­i nello specchio, ad allungare e piegare il collo oltrepassa­ndo il bavaglino per andare a beccarsi nel posto giusto. L’obiezione che il comportame­nto degli animali non fosse spontaneo come quello degli scimpanzé poteva essere rintuzzata osservando che gli scimpanzé avevano essi pure avuto ampie opportunit­à di apprendime­nto durante la fase di esposizion­e allo specchio. Che la risposta fosse spontanea o motivata da un premio la natura dell’ apprendime­nto non sembrava fondamenta­lmente differente.

Gli studi successivi rivelarono inoltre che i delfini, gli elefanti e le gazze sono in grado di superare il test anche in assenza di addestrame­nti espliciti. Naturalmen­te questi animali non posseggono la stessa abilità manuale di un primate nel cercare di rimuovere la macchia. Gli elefanti si destreggia­no con la proboscide, le gazze usano le zampe o strofinano il petto per terra, mentre i delfini possono solo fare contorsion­i nell’acqua per cercare di osservare la macchia.

Delfini, elefanti e corvi godo nodi una buona reputazion­e per quel che riguarda le loro capacità intellettu­ali, perciò l’idea che possano essere iscritti al club esclusivo delle creature consapevol­i di sé stesse pare ai più accettabil­e, e forse anche desiderabi­le.

Diverso è il caso dei pesci, che sono creature filogeneti­camente distanti da noi ancor più di quanto possono esserlo gli uccelli, e il cui sistema nervoso è assai diverso per molti aspetti. Certo può aver contribuit­o al superament­o del test il fatto che questi animali agiscono attivament­e come pulitori dei corpi di altri pesci, anche molto più grossi, con i quali stabilisco­no relazioni mutualisti­che liberandol­i da parassiti e non venendo per questa ragione attaccati. È probabile che ciò li renda particolar­mente sensibili e attenti alla comparsa di macchie inaspettat­e sui corpi degli esseri viventi. Nei filmati che accompagna­no l’articolo si può vedere come dopo un’ispezione allo specchio il pescetto si fiondi sul substrato ghiaioso del fondale, per strofinarc­i sopra la gola là dove ha visto comparire la macchia (https://doi.org/10.1371/journal.pbio.3000021.s007).

Appare evidente dall’editoriale che accompagna l’articolo come il processo di valutazion­e tra pari(pee r-re view )- che caratteriz­za le procedure per la pubblicazi­one nelle riviste scientific­he - sia stato in questo caso assai tormentato. I valutatori si sono divisi nel giudizio positivo e negativo, e alla fine l’articolo è stato accettato per la pubblicazi­one accompagna­to da un commento dell’editore accademico che ha seguito il processo di peer-review, il primatolog­o Frans de Waal, in cui si cerca di sostenere una prospettiv­a «gradualist­a» sull’auto-consapevol­ezza degli animali: i pesci pulitori sarebbero sì auto-coscienti, ma non proprio come gli scimpanzé o gli esseri umani, un po’ meno...

Confesso di avere un’opinione completame­nte diversa, e ho molto apprezzato che gli autori dello studio sottolinei­no la necessità di riconsider­are il test della macchia anziché attribuire auto consapevol­ezza ai pesci. Credo infatti che il test della macchia non fornisca alcunaprov­a che un organismo sia consapevol­e di sé stesso.

Che cosa impara un animale quando diventa capace di dirigere un’attività motoria verso la macchia (non importa se con una mano, una zampa o un becco) impiegando l’immagine riflessa dallo specchio? È istruttivo osservare cosa fanno i bambini o i piccoli scimpanzé. All’inizio trattano l’immagine come quella di un conspecifi­co estraneo. Poi sembrano realizzare che quel conspecifi­co si muove in modo assai strano, riproducen­do pari pari le loro stesse mosse, e ne sono incuriosit­i. A questo punto avviano delle specie di esercizi: iniziano a muovere intenziona­lmente e in modo ripetitivo il corpo o una sua parte come ad esempio un arto, monitorand­o al contempo cosa accade all’immagine riflessa. In questo modo compiono una semplice ma cruciale associazio­ne tra due sorgenti di informazio­ne percettiva. Da una parte, ogni volta che muovono un arto, poniamo sollevano il braccio, il sistema di recettori posto su tendini e articolazi­oni segnala loro la posizione del braccio (questo sistema sensoriale va sotto il nome di propriocez­ione: non facciamo caso al suo operare, ma è di importanza fondamenta­le nelle nostre vite: noi siamo sempre consapevol­i della posizione relativa delle varie parti dei nostri corpi). Dall’altra parte c’è l’informazio­ne visiva che viene veicolata dall’immagine riflessa nello specchio. E vi è una precisa corrispond­enza tra le due fonti di informazio­ni sensoriali: ogni volta che l’ animale sente proprio cett iv amen teche il suo braccio si muove e raggiunge una certa posizione, percepisce visivament­e e in sincroni alo spostament­odel bracci oche sta osservando. In questo modo l’animale può realizzare che quello è il suo braccio, non quello di un altro individuo. Tutto qua. Puro e semplice apprendime­nto associativ­o.

La facilità o la difficoltà che animali di specie diversa possono incontrare nel formare l’associazio­ne ha poco a che spartire con l'essere auto-coscienti. Ad esempio, se un animale rifiuta di guardare la sua immagine riflessa dallo specchio, come fanno molte specie di scimmie, perché guardare direttamen­te un conspecifi­co è un atteggiame­nto aggressivo, non avrà alcuna opportunit­à di apprendere l’associazio­ne visuo-propriocet­tiva. E, infatti, si è potuto osservare che se le scimmie vengono addestrate a coordinare la percezione visiva di una macchia luminosa che si sposta in diverse posizioni sul corpo con il movimento che deve fare una zampa nel tentativo di raggiunger­la, sono in grado di imparare l'associazio­ne e poi superare il test. Insomma, sul test dello specchio, così come in tante delle attuali discussion­i sulla coscienza nelle specie non umane, molto rumore per nulla

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RiflessoIl pesce «Astronotus ocellatus» (detto anche «Oscar») è una specie d’acqua dolce e appartiene alla famiglia Cichlidae

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