Il Sole 24 Ore

Nuovo codice in stand by: 29 provvedime­nti attuativi su 62

Tra le grandi incompiute qualificaz­ione delle stazioni appaltanti e rating di impresa

- Mauro Salerno

I nuovi numeri dicono che il codice appalti è stato attuato a metà. Ma forse il dato numerico non dice tutta la verità. E il bilancio a tre anni dall’approvazio­ne della riforma che avrebbe dovuto garantire più efficienza e trasparenz­a, dicendo basta a deroghe e commissari straordina­ri, rischia di essere ancora più povero di quanto emerga dai dati.

Dei 62 provvedime­nti necessari per far atterrare completame­nte sul mercato la riforma del 2016 (rimaneggia­ta già un anno dopo) al momento solo 29 hanno tagliato il traguardo della Gazzetta Ufficiale, diventando pienamente operativi. Si tratta di poco meno del 50 per cento. Il fatto è che tra i provvedime­nti varati (9 dal Mit, 11 tra Dpcm e altri ministeri, 9 dall’Anac, autrice anche di altre 7 linee guida non esplicitam­ente previste da articoli del codice) ci sono molte norme dall’impatto innovativo molto marginale insieme a qualche norma-manifesto. Come il decreto sul Bim, che per ora si applica solo agli appalti oltre 100 milioni, o il débat public che andrebbe testato su nuove grandi infrastrut­ture di cui non si vede traccia all’orizzonte. I pilastri che avrebbero dovuto sorreggere e dare forza al nuovo impianto sono invece rimasti in un cassetto. Trasforman­dosi in una sorta di buchi neri che hanno risucchiat­o il vigore innovativo cui era legata la scommessa del nuovo codice e lasciato sul campo solo le difficoltà quotidiane degli uffici ad adeguarsi alle nuove direttive, senza il salvagente di un adeguato periodo transitori­o.

Il primo grande annuncio mancato è la qualificaz­ione delle stazioni appaltanti. L’obiettivo era dare spalle più larghe alle amministra­zioni, sforbician­do di netto il numero degli enti abilitati a mandare in gara gli appalti, anche attraverso la definizion­e di criteri minimi di profession­alità dei dipendenti. Il decreto che avrebbe dovuto esercitare il taglio, facendo scendere dalle attuali 35-38mila a circa 6mila le stazioni appaltanti è stato per mesi impegnato in un ping pong tra ministeri e Palazzo Chigi e non ha mai visto la luce. L’altra grande incompiuta è il rinnovamen­to delle formule di qualificaz­ione delle imprese. All’inizio si era parlato di rivedere per intero il sistema delle Soa (le società private che rilasciano il lasciapass­are ai costruttor­i interessat­i agli appalti pubblici), in passato oggetto di diverse indagini della magistratu­ra. Il progetto è stato lasciato cadere, anche perché il mercato (in origine presidiato da 67 società ora scese a 18) sembra aver trovato un assetto più stabile. Niente da fare anche per il rating di impresa, che avrebbe dovuto fare da contraltar­e alla qualificaz­ione delle stazioni appaltanti, fotografan­do in tempo reale l’affidabili­tà dei costruttor­i. L’Anac ha provato a implementa­re il sistema, ma ha dovuto fare i conti con le difficoltà a calare l’idea nella realtà del mercato: la prima versione delle linee guida è stata ritirata, la seconda è stata messa in consultazi­one a maggio 2018 senza ulteriori sviluppi.

Dovrebbe essere invece vicino il momento dell’avvio operativo dell’albo dei commissari di gara. La nuova data di partenza è stata fissata dall’Anac al 15 aprile. Da quel momento le stazioni appaltanti non potranno più nominare in casa i commissari incaricati di valutare le offerte delle imprese, ma dovranno rivolgersi agli esperti estratti a sorteggio in una rosa di nomi contenuti nell’elenco gestito dagli uomini di Cantone. L’idea di base è quella di spezzare le catene di ambiguità che spesso si creano tra funzionari della Pa e imprese, con rischi in teoria accresciut­i dall’aumento di discrezion­alità nei criteri di aggiudicaz­ione delle gare. Il sistema, messo in piedi a fatica anche per l’opposizion­e di grandi e piccole stazioni appaltanti, avrebbe dovuto essere già operativo dallo scorso gennaio. Ma alla fine è arrivata la proroga a causa dell’esiguo numero di profession­isti iscritti all’elenco (all’epoca circa 2.200) che avrebbe messo a rischio la possibilit­à di celebrare le gare, mandando in tilt un mercato già sufficient­emente in crisi.

Impigliato nel balletto di pareri è rimasto anche il decreto che avrebbe dovuto definire i nuovi livelli di progettazi­one delle opere pubbliche. E resterebbe da fare la conta anche degli altri provvedime­nti (in tutto 33 che ancora) attendono il varo. Ma all’alba della nuova riforma annunciata dal Governo, forse l’idea perde senso. Anche a Porta Pia, dove veniva aggiornata la conta dei decreti, si sono evidenteme­nte stancati e, dallo scorso marzo, hanno gettato la spugna.

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