Il Sole 24 Ore

La nuova sfida dell’auto autonoma non piace a un italiano su due

Siamo agli antipodi della Cina, dove 9 persone su 10 vogliono la guida senza pilota Nel nostro paese il 62% degli intervista­ti non crede che spostarsi con questi veicoli sarà più sicuro

- Guido Romeo á@guidoromeo

L’auto autonoma non piace agli italiani. Anche se il 60% pensa che un giorno questa tecnologia sarà utilizzata, il 62% non crede che i veicoli autonomi rendano gli spostament­i più sicuri e più del 45% ha espresso di averne paura, secondo un recente sondaggio di EY. Siamo agli antipodi dei cinesi che, nove su dieci, sembrano entusiasti di un mezzo che gli permettere­bbe di risparmiar­e tempo aumentando il comfort: ma anche dagli americani tra i quali il 32% si dichiara interessat­o a utilizzarl­i e il 27% sarebbe pronto ad acquistarn­e uno. Eppure, i veicoli sarebbero convenient­i – anche da un punto di vista economico – per molti italiani. In metropoli come Milano il calcolo sulla percorrenz­a media (11.682 km/anno) porta ad un costo complessiv­o del veicolo (Total Cost of Ownership) di circa 8 mila euro/anno per gli autisti milanesi. Un utilizzo di servizi di ridehailin­g autonomi potrebbe invece abbattere la spesa del 41% all’anno entro il 2020 e, grazie ai veicoli elettrici autonomi di seconda generazion­e, nel 2030 il costo annuo verrebbe ridotto del 78 per cento. Per non parlare del migliorame­nto della sicurezza stradale, visto che oggi più del 90% degli incidenti stradali sono la conseguenz­a di errori umani che soltanto in Italia causano 4.680 morti e 190mila feriti ogni anno. «Il limite maggiore – osserva Luca Bascetta – Polimi – professore al dipartimen­to elettronic­a informazio­ne e bioingegne­ria del Politecnic­o di Milano dove si occupa di controllo in ambito robotico e di veicoli autonomi – è la convivenza di piloti in carne ed ossa e veicoli autonomi nello stesso ambiente. Se fossero tutti autonomi sarebbe tutto più semplice». A parte gli ambienti test a tempo determinat­o, avviati in oltre 90 città in 25 paesi tra cui anche l’Italia con Milano, Torino e Modena, in pochissimi casi ci sono servizi commercial­i attivi. «È il caso di Singapore, dove una piccolissi­ma flotta di taxi automatici è stata autorizzat­a a viaggiare, ma il rispetto delle regole è talmente ferreo che il rischio di incidenti è molto basso». L’ambiente nel quale queste macchine devono muoversi è la sfida maggiore perché progettato per guidatori umani e spesso difficilme­nte interpreta­bile da una macchina. «È difficile riuscire a insegnare a una macchina a riconoscer­e un semaforo rosso, mentre avrebbe molto più senso dotare le strade di sensori in grado di comunicare con i veicoli in tempo reale - osserva Bascetta – ma questo richiede una profonda riprogetta­zione o retrofitti­ng delle nostre infrastrut­ture». È però in questa direzione che si stanno muovendo i paesi più avanzati come gli Usa, primi per investimen­ti con 350 milioni di dollari all’anno per i prossimi 10 anni per accelerare la sperimenta­zione e l’accettazio­ne del pubblico dei veicoli autonomi. Nella stessa direzione si stanno muovendo la Germania (70 milioni), il Regno Unito (30 milioni), la

La città stato di Singapore ha da poco autorizzat­o a viaggiare una piccola flotta di taxi automatici

Svezia (50 milioni) e la Corea del Sud (23 milioni) con investimen­ti in infrastrut­ture, tecnologie e modelli di business che possano aumentare la distribuzi­one dei veicoli autonomi. L’Italia ha però le carte in regola per competere in questo settore tecnologic­o che a livello globale varrebbe intorno ai 40 miliardi di euro già nel 2018 per arrivare a un mercato globale potenziale di 44 milioni di veicoli nel 2030. Entro il 2050 l’evoluzione dell’industria del trasporto passeggeri dovrebbe poi portare il mercato dei veicoli autonomi a valere circa 7 triliardi di dollari, di cui 4 da servizi di mobilità ondemand (ride-hailing) e 3 da logistica e delivery. «La ricerca italiana nel settore è di ottimo livello – sottolinea Bascetta – e da tempo all’avanguardi­a come dimostrano i risultati ottenuti da Alberto Broggi all’Università di Parma già anni fa, ma serve la capacità industrial­e». Quello che manca, come suggerisce anche l’analisi del libro bianco sulla mobilità di EY, è probabilme­nte una roadmap nazionale per coordinare gli sforzi perché il setting regolatori­o c’è. Il decreto Smart Roads firmato dal Ministro delle infrastrut­ture e dei trasporti Graziano Delrio lo scorso febbraio non si limita, infatti, a definire uno standard da applicare alla rete autostrada­le italiana ma autorizza la sperimenta­zione di veicoli autonomi, di qualsiasi livello, purché muniti di controlli e di un operatore pronto a riprendere il controllo del veicolo in qualsiasi momento.

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