Il Sole 24 Ore

Powell (Fed) rialza per la quarta volta i tassi

Aumento di 25 punti base Nel 2019 previste due «strette» invece di tre Per il Pil l’anno prossimo un incremento del 2,3% rispetto al 2,5% precedente

- Riccardo Baarlam

La Federal reserve per la quarta volta nel 2018 rialza i tassi Usa. Nonostante una drastica revisione delle stime di crescita, e andando apertament­e contro la linea espressa da Trump («la politica non entra nelle nostre decisioni»), Powell ha ufficializ­zato il rialzo di un quarto di punto dei tas- si al 2,25-2,5. E ha preannunci­ato altre due “strette” per l’anno venturo.

Corrette al ribasso le stime per la crescita: il Pil 2019 salirà del 2,3% rispetto al 2,5% precedente­mente stimato. Ritoccata al ribasso anche l’inflazione, attesa all’1,9% contro il 2% previsto. Invariata invece la disoccupaz­ione, che resta confermata al 3,5% a fine 2019.

La Fed ha alzato i tassi a breve di 25 punti base, al 2,25-2,50 per cento. Ha annunciato però un rallentame­nto del ritmo della futura stretta, indicando per il 2019 due nuovi rialzi (e non più tre, come a settembre). Ha rivisto inoltre al ribasso le stime di crescita per quest’anno e per il 2019.

La decisione sui tassi era attesa dai mercati e da gran parte degli analisti finanziari. L’ultimo sondaggio di Bloomberg su economisti e investitor­i dava al 90% le possibilit­à di rialzo. Ma la decisione era tutt’altro che scontata per le pressioni degli ultimi giorni arrivate dalla Casa Bianca. Donald Trump in più occasioni ha invitato la banca centrale americana e il suo presidente Jerome Powell a «non fare un altro errore», ad «ascoltare il mercato» e a «non guardare solo ai numeri».

Dalla fine del 2015, con l’ultimo di ieri, che è il quinto rialzo consecutiv­o trimestral­e, il quarto del 2018, la Federal Reserve ha alzato i tassi a breve dei Fed Funds nove volte, dallo zero virtuale al 2,5%. I tassi si trovano ora nella parte bassa di quello che gran parte dei componenti del board della Fed ritiene essere il tasso neutrale: per Janet Yellen il tasso neutrale era attorno al 3%; Powell il 28 novembre aveva detto che i tassi si trovano «appena sotto» il tasso neutrale. Un netto cambio di rotta rispetto a quanto affermato il 3 ottobre, quando parlava di «a long way», una lunga strada da percorrere per raggiunger­e il livello neutrale, segnalando quindi un rallentame­nto del ritmo delle strette. La politica espansiva della Fed è finita nell’ottobre 2014 quando si decise di terminare il terzo programma di quantitati­ve easing, al ritmo di 50 miliardi al mese. Con la decisione di ieri la banca centrale ha salvato la sua credibilit­à perché Jay Powell e il board dei presidenti regionali della Fed hanno ignorato le critiche mostrando che le decisioni monetarie americane sono guidate da scelte economiche e non politiche.

La Federal Reserve ha rivisto ieri al ribasso le stime di crescita: il Pil Usa quest’anno salirà del 3% e non del 3,1% come previsto in precedenza, nel 2019 del 2,3% contro il 2,5 prima stimato. Nonostante i segnali di rallentame­nto, tuttavia,l’economia continua a espandersi al ritmo maggiore da 10 anni, la disoccupaz­ione è ai minimi dal 1969, al 3,7%, i salari sono in ripresa, la spesa al consumo continua a crescere (+0,6% a ottobre). Un’economia che corre quasi al massimo della sua capacità non ha bisogno più di stimoli, è il ragionamen­to dei policymake­rs della Fed. Dall’altro lato, però, l’inflazione core continua la sua lenta risalita ed è arrivata all’1,8%, vicina al target Fed del 2 per cento. I prezzi bassi del petrolio, sceso sotto i 50 dollari al barile, aiutano a diminuire le pressioni inflattive. Il dollaro forte e i recenti cali azionari della borsa americana raccontano di un inasprimen­to delle condizioni finanziari­e. Tutti fattori che spingono in un’altra direzione e che hanno alimentato fino all’ultimo il coro di richieste di una pausa. Dall’ultimo ritocco dei tassi monetari di settembre l’indice S&P 500 ha perso circa il 12%, il Dow Jones il 10% e il Nasdaq quasi il 3%. La volatilità è stata alimentata dalle tensioni per la guerra commercial­e con la Cina, i titoli tech finiti sulla graticola e, ora, dal petrolio. La Fed ha deciso di andare avanti per la sua strada e non ha sorpreso. Alcuni analisti sostengono che abbia voluto rassicurar­e i mercati preoccupat­i dai tassi alti e dal rallentame­nto economico in arrivo. Come a dire: sì ci sono nuvole all’orizzonte, ma il temporale è ancora lontano.

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EPA Sotto pressione. Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell

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