Iab: senza una nuova web tax resteranno solo Google e Facebook
Il presidente Carlo Noseda: «Le nostre aziende rischiano di sparire» Al via una campagna per chiedere una diversa disciplina fiscale che riequilibri i rapporti di forza
Una campagna di comunicazione; una proposta di web tax rinnovata e rivistapuntandoall’equità fiscale rispetto ai giganti del web che la fanno sempre di più da padrone nel mondo dell’advertising; un’azione di sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni e del Governo. «Senza troppo sforzo c’è almeno mezzo miliardo di euro recuperabile solo con questa web tax che stiamoproponendo»,spiegaCarloNoseda, alla guida di Iab, l’associazione cheriunisceleaziendedellacomunicazione e dell’advertising digitale.
È proprio da questo mondo, fatto da 180 aziende associate, ma anche, spiega Noseda, «da molte altre aziende non associate interessate a far fronte comune con noi su questa battaglia» che arriva l’allarme per una situazione di disparità che secondo il presidente Iab non è ancora perfettamente compresa, per portata e conseguenze: senza interventi «nel giro di cinque anni rimarranno solo loro, Google e Facebook. Di sicuro il mondo delle aziende dell’advertising digitale non potranno che sparire o lavorare per questi colossi».
A supporto di questa tesi, per Noseda basta guardare alla dinamica della raccolta pubblicitaria negli ultimi tempi. Google e Facebook sono accreditate – i dati non si conoscono e quindi non possono essere considerati ufficiali, ma i rumors puntano in questa direzione – di una raccolta che si avvicina ai 3 miliardi di euro. Ordine di grandezza che accomuna l’universo del digital a quello della televisione.
Daquil’ideadiunacampagnadicomunicazione per sensibilizzare rispetto alla disparità di forze in campo, con messaggi che «hanno il tono della provocazione, ma in cui mettiamo in evidenza le storture di una situazione che portano,adesempio,unpastificioemiliano a pagare più tasse dei giganti del web».LostessoprincipionellacampagnadiIabvaleperunmobilificiobrianzolo come per un caseificio pugliese: realtà del made in Italy considerate come benchmark per segnalare la necessità di un sistema di tassazione «equo e trasparente» per il quale la risposta giusta non viene trovata nella «attuale formulazione della Digital Tax Italiana» che, si legge nel payoff della campagna (si veda l’immagine in pagina), «determinerebbe uno svantaggio per leimpresedigitaliitaliane,perchésiaggiungeallatassazioneordinaria,penalizzando le imprese locali nei confronti dei competitor esteri localizzati in Paesi a bassa tassazione».
La questione, già posta all’attenzione con la campagna on air da un paio di settimane, sarà fra i temi centrali allo Iab Forum, appuntamento annuale che si terrà a Milano Congressi il 12 e 13 novembre. Del resto l’equità fiscale è il punto sul quale secondo Iab si gioca il futuro di un settore «in cui lavorano almeno 200mila persone a vario titolo. E consideriamo anche che per ogni euro investito in digitale ce ne sono 25 in indotto secondo un’indagine che abbiamo di recente presentato con EY».
Secondo Iab, dunque, la soluzione non può essere la web tax come introdottadall’ultimaleggediBilancio,lacui entrata in vigore è stata prevista per gennaio2019eperlaqualel’associazione che raggruppa il mondo dell’advertising digitale si augura che «non trovi attuazioneechepossaesseremodificata velocemente affinché colpisca realmente le reali situazioni di abuso».
Quali dunque le soluzioni proposte e che si intende ora portare all’attenzione del Governo? Innanzitutto, «circoscrivere l’ambito alla sola pubblicità online. Questo perché si tratta della fattispecie più idonea a sviluppare un business digitale da remoto senza alcuna struttura a livello locale». Poi, spiega ancora Noseda, «l’intervento va limitato alle imprese che generano almeno 20 milioni di fatturato inteso come ricavi espressi sul territorio italiano. È chiaro che così si eviterebbe di colpire realtà di dimensioni ridotte». In ultimo, «è importante che ci sia un meccanismo di premialità. Alle imprese che dimostrino di agire correttamente, rispettando requisiti di trasparenza, andrebbe data la possibilità di ottenere un credito d’imposta». Applicando queste idee, «ci sarebbe mezzo miliardo almeno a disposizione. Per un Governo affamato di risorse per fare investimenti e interventi, una manna. Se non ne vogliono tener conto – chiosa Noseda – dovranno spiegare perché».