Il Sole 24 Ore

Assist di Ivass alle compagnie per migliorare la solvibilit­à

Patuelli (Abi): «Cosa accadrebbe se le banche non comprasser­o titoli di Stato?»

- Laura Serafini

Le compagnie assicurati­ve italiane sono in media più solide degli altri gruppi europei. A tal punto che negli ultimi due anni hanno scelto di non avvalersi di alcune misure previste dalle direttive europee per alleviare l’impatto patrimonia­le del passaggio da Solvency I a Solvency II. La volatilità che però sta caratteriz­zando il mercato negli ultimi mesi, in particolar­e per quanto riguarda lo spread tra titoli di Stato italiano e Bund tedeschi, ha spinto alcune compagnie a cambiare tattica.

Per questo motivo è stato richiesto all’Ivass, l’autorità di vigilanza di settore, di fornire chiariment­i sulla possibilit­à di avvalersi di misure transitori­e previste nel 2016 - e sinora non utilizzate in Italia - per attenuare l’effetto patrimonia­le del diverso modo di calcolare le riserve tecniche tra Solvency I e Solvency II. La nuova direttiva implica un’erosione dei coefficien­ti più consistent­e e per questo motivo viene consentito di applicare alle riserve tecniche calcolate alla fine di ogni esercizio una deduzione provvisori­a per la parte risultante dalla differenza dei metodi di calcolo delle due direttive.

Nei fatti, il tutto si traduce nella possibilit­à di spalmare su 16 anni l’impatto delle nuove norme. Il chiariment­o Ivass, pubblicato il 31 ottobre, consente alle compagnie di avvalersi di quel “vantaggio” da questo esercizio, anche se il periodo si è ormai ridotto da 16 a 14 anni. L’interesse del settore è legato alla possibilit­à di mitigare l’erosione del coefficien­te di solvibilit­à, il quale negli ultimi mesi ha risentito della volatilità dei titoli di Stato, soprattutt­o per i gruppi che non hanno portafogli molto diversific­ati. Grandi realtà come Generali, ma anche Poste Vita, stanno guardando con interesse a questa possibilit­à. In occasione delle consideraz­ioni finali di giugno, il presidente dell’Ivass, Salvatore Rossi, aveva tratto un bilancio sugli effetti delle misure transitori­e di cui si sono avvalsi soprattutt­o i gruppi europei. Le compagnie italiane avevano utilizzato solo la parte relativa all’aggiustame­nto di volatilità, con un effetto positivo medio per il comparto di 10 punti percentual­i. Il beneficio in termini di migliorame­nto del coefficien­te di solvibilit­à era stato molto più consistent­e a livello europeo: 113 punti in Germania, 107 nel Regno Unito, 80 in Danimarca e 76 in Spagna, con un valore medio di 70 punti (che includeva anche il contributo dell’aggiustame­nto di volatilità).

Il confronto con quanto accaduto nel resto d’Europa lascia immaginare che anche per le compagnie italiane ci saranno margini per migliorare il coefficien­te di diverse decine di punti percentual­i. Un impatto preciso non è possibile calcolarlo al momento, come fanno notare dall’Ania, perché il ricorso a queste misure è su base opzionale e perché l’impatto varia molto in base alla composizio­ne dei portafogli. L’adozione deve essere autorizzat­a da Ivass, che accerterà che il beneficio non venga disperso o attenuato da politiche gestionali, da remunerazi­one degli azionisti o pricing di prodotti non conservati­vi della posizione patrimonia­le. Le misure prevedono, poi, un monitoragg­io e una verifica ogni 4 anni che, in base all’entità del beneficio avuto, può comportare una revisione del trattament­o contabile. Un bilancio, dunque, potrà essere fatto solo più avanti. Poste Italiane la prossima settimana diffonderà i dati dei 9 mesi e c’è attesa da parte del mercato per conoscere il livello del coefficien­te di solvibilit­à: a giugno il titolo aveva accusato perdite in Borsa perchè il ratio si era eroso di 100 punti, scendendo sotto quota 200, in sei mesi. In ogni caso per il management di Poste (gruppo che ha in pancia 133 miliardi di titoli pubblici) non ci sono preoccupaz­ioni perchè la società fa parte di gruppo in grado di garantire liquidità e solvibilit­à.

In tema di titoli di Stato e spread mercoledì scorso è intervenut­o il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, in occasione della giornata del risparmio. «Le banche in Italia continuano a detenere e sottoscriv­ere titoli di Stato nonostante lo spread che riduce il valore dei titoli di Stato e dunque il patrimonio. Lo spread appesantis­ce tutta la catena produttiva e ostacola la ripresa, quando la liquidità è sempre più preziosa. Indebolire le banche in Italia significhe­rebbe anche indebolire i principali acquirenti di titoli di Stato italiani. Cosa sarebbe successo o succedereb­be se le banche in Italia detenesser­o pochi o punti titoli di Stato?». E ancora: «Le banche operano in un’Italia non chiusa e autarchica, ma nella società e nei mercati aperti, in una Unione europea sempre incompleta», ha detto.

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Faro sulle elezioni.I mercati guardano alle elezioni di metà mandato in programma negli Stati Uniti la prossima settimana. Primo vero test per il presidente Donald Trump

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