Assist di Ivass alle compagnie per migliorare la solvibilità
Patuelli (Abi): «Cosa accadrebbe se le banche non comprassero titoli di Stato?»
Le compagnie assicurative italiane sono in media più solide degli altri gruppi europei. A tal punto che negli ultimi due anni hanno scelto di non avvalersi di alcune misure previste dalle direttive europee per alleviare l’impatto patrimoniale del passaggio da Solvency I a Solvency II. La volatilità che però sta caratterizzando il mercato negli ultimi mesi, in particolare per quanto riguarda lo spread tra titoli di Stato italiano e Bund tedeschi, ha spinto alcune compagnie a cambiare tattica.
Per questo motivo è stato richiesto all’Ivass, l’autorità di vigilanza di settore, di fornire chiarimenti sulla possibilità di avvalersi di misure transitorie previste nel 2016 - e sinora non utilizzate in Italia - per attenuare l’effetto patrimoniale del diverso modo di calcolare le riserve tecniche tra Solvency I e Solvency II. La nuova direttiva implica un’erosione dei coefficienti più consistente e per questo motivo viene consentito di applicare alle riserve tecniche calcolate alla fine di ogni esercizio una deduzione provvisoria per la parte risultante dalla differenza dei metodi di calcolo delle due direttive.
Nei fatti, il tutto si traduce nella possibilità di spalmare su 16 anni l’impatto delle nuove norme. Il chiarimento Ivass, pubblicato il 31 ottobre, consente alle compagnie di avvalersi di quel “vantaggio” da questo esercizio, anche se il periodo si è ormai ridotto da 16 a 14 anni. L’interesse del settore è legato alla possibilità di mitigare l’erosione del coefficiente di solvibilità, il quale negli ultimi mesi ha risentito della volatilità dei titoli di Stato, soprattutto per i gruppi che non hanno portafogli molto diversificati. Grandi realtà come Generali, ma anche Poste Vita, stanno guardando con interesse a questa possibilità. In occasione delle considerazioni finali di giugno, il presidente dell’Ivass, Salvatore Rossi, aveva tratto un bilancio sugli effetti delle misure transitorie di cui si sono avvalsi soprattutto i gruppi europei. Le compagnie italiane avevano utilizzato solo la parte relativa all’aggiustamento di volatilità, con un effetto positivo medio per il comparto di 10 punti percentuali. Il beneficio in termini di miglioramento del coefficiente di solvibilità era stato molto più consistente a livello europeo: 113 punti in Germania, 107 nel Regno Unito, 80 in Danimarca e 76 in Spagna, con un valore medio di 70 punti (che includeva anche il contributo dell’aggiustamento di volatilità).
Il confronto con quanto accaduto nel resto d’Europa lascia immaginare che anche per le compagnie italiane ci saranno margini per migliorare il coefficiente di diverse decine di punti percentuali. Un impatto preciso non è possibile calcolarlo al momento, come fanno notare dall’Ania, perché il ricorso a queste misure è su base opzionale e perché l’impatto varia molto in base alla composizione dei portafogli. L’adozione deve essere autorizzata da Ivass, che accerterà che il beneficio non venga disperso o attenuato da politiche gestionali, da remunerazione degli azionisti o pricing di prodotti non conservativi della posizione patrimoniale. Le misure prevedono, poi, un monitoraggio e una verifica ogni 4 anni che, in base all’entità del beneficio avuto, può comportare una revisione del trattamento contabile. Un bilancio, dunque, potrà essere fatto solo più avanti. Poste Italiane la prossima settimana diffonderà i dati dei 9 mesi e c’è attesa da parte del mercato per conoscere il livello del coefficiente di solvibilità: a giugno il titolo aveva accusato perdite in Borsa perchè il ratio si era eroso di 100 punti, scendendo sotto quota 200, in sei mesi. In ogni caso per il management di Poste (gruppo che ha in pancia 133 miliardi di titoli pubblici) non ci sono preoccupazioni perchè la società fa parte di gruppo in grado di garantire liquidità e solvibilità.
In tema di titoli di Stato e spread mercoledì scorso è intervenuto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, in occasione della giornata del risparmio. «Le banche in Italia continuano a detenere e sottoscrivere titoli di Stato nonostante lo spread che riduce il valore dei titoli di Stato e dunque il patrimonio. Lo spread appesantisce tutta la catena produttiva e ostacola la ripresa, quando la liquidità è sempre più preziosa. Indebolire le banche in Italia significherebbe anche indebolire i principali acquirenti di titoli di Stato italiani. Cosa sarebbe successo o succederebbe se le banche in Italia detenessero pochi o punti titoli di Stato?». E ancora: «Le banche operano in un’Italia non chiusa e autarchica, ma nella società e nei mercati aperti, in una Unione europea sempre incompleta», ha detto.