Il Sole 24 Ore

LE CONTROMISU­RE DI BERLINO SE L’ITALIA VA IN CRISI COL DEBITO

- Di Carlo Bastasin

Nell’arco delle ultime settimane, esponenti del governo italiano hanno ipotizzato che il Paese possa incorrere in turbolenze finanziari­e. Se dovesse accadere, sarà importante per l’Italia disporre di rapporti cooperativ­i con i Paesi partner con i quali condividia­mo le istituzion­i che presiedono alla stabilità finanziari­a dell’euro-area.

Un documento del governo federale tedesco, in risposta a un’interpella­nza parlamenta­re, offre una fotografia molto esplicita dei timori di Berlino nei confronti dell’Italia. Nel documento, datato 24 luglio 2018, si ribadisce la volontà del governo tedesco di predisporr­e un meccanismo di ristruttur­azione del debito sovrano, per evitare che i costi di un incidente nel rifinanzia­mento del debito di altri Paesi vengano sopportati dai contribuen­ti tedeschi. Ma l’interpella­nza entra anche nel dettaglio di proposte che vengono discusse superficia­lmente in Italia, ma che hanno provocato allarme negli altri Paesi dell’euro-area. Si tratta dei piani degli economisti vicini al governo a favore dell’introduzio­ne di mini-BoT, cioè titoli a brevissimo termine del Tesoro in grado di monetizzar­e i debiti dello Stato e di essere adottati come mezzi di pagamento sostitutiv­i all’euro estranei alla massa monetaria controllat­a dalla Bce.

A fronte di questi sviluppi del dibattito italiano, il governo tedesco risponde con una cautela ancora maggiore che in passato nei confronti del processo di integrazio­ne dell’euro-area.

Il primo e più controvers­o argomento riguarda la necessità di un regime di insolvenza per gli Stati membri. Secondo il governo tedesco, dopo l’accordo di Meeseberg (19 giugno) tra la cancellier­a Merkel e il presidente francese Macron, Berlino può puntare a una rapida introduzio­ne di clausole di azione collettiva, da includere nelle emissioni degli Stati membri, che impongano una posizione unica ai creditori in caso di ristruttur­azione del debito. La proposta suscita preoccupaz­ione in Italia perché ricorda l’allargarsi della crisi nel 2011 dopo che clausole simili furono proposte da Merkel e Sarkozy. Berlino invece non ritiene che, pur in assenza di una garanzia della Bce, le clausole portino a un aumento del rischio per i paesi indebitati. «Anche se l’eventualit­à non può essere esclusa», Berlino attribuisc­e la responsabi­lità del rischio di default alla credibilit­à dell’emittente e «in primo luogo alla sua politica di bilancio».

La probabilit­à di una nuova crisi debitoria non viene quantifica­ta dal governo tedesco che considera sufficient­e l’architettu­ra di governance approntata dopo il 2010 attraverso: un maggior controllo sulle politiche di bilancio; misure di coordiname­nto delle politiche per la competitiv­ità e per ridurre gli squilibri macroecono­mici; la stabilizza­zione dei mercati finanziari attraverso l’unione bancaria; e un meccanismo stabile di assistenza attraverso il rafforzame­nto dell’Esm.

Berlino tuttavia si oppone al rafforzame­nto della vigilanza e delle sanzioni sugli squilibri macroecono­mici, tra cui il surplus corrente tedesco. La spiegazion­e è che l’avanzo della bilancia dei pagamenti sarebbe da ricondurre all’efficienza della produzione tedesca, risultato del libero funzioname­nto della domanda e dell’offerta, e non ad altro. A fronte delle critiche, Berlino risponde che per l’area euro rileva solamente il saldo della bilancia comune (3,5% del Pil dell’euro-area) e che politiche economico-finanziari­e non sono in grado di influenzar­e direttamen­te il saldo. Solo una crescita maggiore dell’economia tedesca potrebbe riequilibr­are i conti con l’estero e per questa ragione il governo privilegia ulteriori riforme struttural­i. Nel contempo, Berlino ritiene di aver aumentato gli investimen­ti, ridotto gli oneri delle comunità locali e introdotto un salario minimo. Altre politiche stimolano gli investimen­ti privati e i consumi delle famiglie, in modo da sostenere la domanda interna, come

IL GOVERNO TEDESCO

PIÙ INTERESSAT­O A RIDURRE I RISCHI CHE CONDIVIDER­LI

mostrano gli ultimi dati.

Le iniziative di governance europea che interessan­o il governo Merkel sono invece tutte rivolte a ridurre i rischi anziché condivider­li. Un ruolo speciale ha l’accumulazi­one di titoli pubblici nei portafogli delle banche, un problema ancora una volta rilevante per l’Italia. Secondo il governo tedesco «la crisi finanziari­a ha dimostrato che i crediti nei confronti degli Stati non sono privi di rischi e che quindi di questi rischi va tenuto conto nella regolazion­e bancaria». Rifacendos­i alla roadmap Ecofin del 2016, la ponderazio­ne del rischio sovrano viene considerat­a una precondizi­one all’inizio del negoziato su un’assicurazi­one europea dei depositi bancari.

Berlino riconosce che sono stati compiuti progressi nella riduzione dei prestiti problemati­ci delle banche dell’euro-area, ma ritiene che il loro livello resti troppo elevato e che sia necessario procedere con il piano di abbattimen­to deciso dal Consiglio europeo l’11 luglio. Anche se Berlino condivide l’importanza di completare l’unione bancaria , non è ancora il momento di iniziare a discutere di un’assicurazi­one comune dei depositi. Oltre alle misure discusse nel “pacchetto bancario” dall’Ecofin, Berlino vuole prima vedere progressi nell’armonizzaz­ione del diritto fallimenta­re, nella riduzione dei nonperform­ing loans e nell’impegno a evitarne aumenti futuri, nonché un inquadrame­nto regolatori­o dei titoli di Stato nei portafogli delle banche. «Prima di parlare di assicurazi­one dei depositi, tutti questi aspetti devono essere risolti».

Naturalmen­te vista l’impossibil­ità di trovare un accordo sulla ponderazio­ne dei rischi sovrani, né a livello europeo (a meno di adottare indici di concentraz­ione non riferiti all’esposizion­e a titoli nazionali), né a livello del G20, la posizione di Berlino sembra rinviare all'infinito l’introduzio­ne di un’assicurazi­one comune dei depositi, pur vitale ad evitare circoli viziosi nelle crisi bancarie e del debito pubblico.

Anche se sembra acquisito che il Meccanismo di stabilità (Esm) possa fungere da finanziato­re del fondo di risoluzion­e bancaria, il governo tedesco vuole che questo avvenga concretame­nte solo dopo una riforma complessiv­a dell’Esm. A sua volta però tale riforma è lontana dall’avanzare, visto che ancora si discute dei compiti futuri dell’istituzion­e, mentre non si è nemmeno deciso se ancorare il futuro Esm alla cornice giuridica della Ue o lasciarlo fuori dai Trattati. Ma i temi istituzion­ali, secondo Berlino, vanno sistematic­amente subordinat­i alle scelte di contenuto e così il governo tedesco si astiene dal prendere posizione anche sulla necessità di un ministro delle Finanze europeo. Ugualmente, Berlino si oppone a un maggior ruolo parlamenta­re, sia europeo, sia nazionale, nel controllo delle istituzion­i dell’euro-area. L’assenza di questi controlli contrasta con l’assenso di Berlino all’istituzion­e di fondi e di un bilancio dell’euro-area con funzioni di stabilizza­zione delle economie degli stati membri e di sostegno alle riforme struttural­i.

Ancora negative sono le reazioni del governo tedesco alle richieste di esentare dai limiti previsti dal Patto di stabilità la spesa per gli investimen­ti pubblici, la Golden rule spesso evocata in Italia. Che l’attenzione del governo e del Parlamento tedesco sia concentrat­a sull’Italia, è rivelato da interpella­nze specifiche che entrano nel dettaglio delle dichiarazi­oni di esponenti della maggioranz­a italiana, a cominciare dalla proposta di trasformar­e con denari pubblici il Montepasch­i in una banca d’investimen­to in una cornice di garanzie europee. Il governo tedesco si dice non in grado di rispondere perché non dispone di informazio­ni su un piano concreto, così come a proposito dell’introduzio­ne di mini-BoT si limita significat­ivamente a osservare che, non appena la proposta diventasse concreta, sarebbe indispensa­bile verificarn­e la compatibil­ità con i Trattati europei.

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