LE CONTROMISURE DI BERLINO SE L’ITALIA VA IN CRISI COL DEBITO
Nell’arco delle ultime settimane, esponenti del governo italiano hanno ipotizzato che il Paese possa incorrere in turbolenze finanziarie. Se dovesse accadere, sarà importante per l’Italia disporre di rapporti cooperativi con i Paesi partner con i quali condividiamo le istituzioni che presiedono alla stabilità finanziaria dell’euro-area.
Un documento del governo federale tedesco, in risposta a un’interpellanza parlamentare, offre una fotografia molto esplicita dei timori di Berlino nei confronti dell’Italia. Nel documento, datato 24 luglio 2018, si ribadisce la volontà del governo tedesco di predisporre un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano, per evitare che i costi di un incidente nel rifinanziamento del debito di altri Paesi vengano sopportati dai contribuenti tedeschi. Ma l’interpellanza entra anche nel dettaglio di proposte che vengono discusse superficialmente in Italia, ma che hanno provocato allarme negli altri Paesi dell’euro-area. Si tratta dei piani degli economisti vicini al governo a favore dell’introduzione di mini-BoT, cioè titoli a brevissimo termine del Tesoro in grado di monetizzare i debiti dello Stato e di essere adottati come mezzi di pagamento sostitutivi all’euro estranei alla massa monetaria controllata dalla Bce.
A fronte di questi sviluppi del dibattito italiano, il governo tedesco risponde con una cautela ancora maggiore che in passato nei confronti del processo di integrazione dell’euro-area.
Il primo e più controverso argomento riguarda la necessità di un regime di insolvenza per gli Stati membri. Secondo il governo tedesco, dopo l’accordo di Meeseberg (19 giugno) tra la cancelliera Merkel e il presidente francese Macron, Berlino può puntare a una rapida introduzione di clausole di azione collettiva, da includere nelle emissioni degli Stati membri, che impongano una posizione unica ai creditori in caso di ristrutturazione del debito. La proposta suscita preoccupazione in Italia perché ricorda l’allargarsi della crisi nel 2011 dopo che clausole simili furono proposte da Merkel e Sarkozy. Berlino invece non ritiene che, pur in assenza di una garanzia della Bce, le clausole portino a un aumento del rischio per i paesi indebitati. «Anche se l’eventualità non può essere esclusa», Berlino attribuisce la responsabilità del rischio di default alla credibilità dell’emittente e «in primo luogo alla sua politica di bilancio».
La probabilità di una nuova crisi debitoria non viene quantificata dal governo tedesco che considera sufficiente l’architettura di governance approntata dopo il 2010 attraverso: un maggior controllo sulle politiche di bilancio; misure di coordinamento delle politiche per la competitività e per ridurre gli squilibri macroeconomici; la stabilizzazione dei mercati finanziari attraverso l’unione bancaria; e un meccanismo stabile di assistenza attraverso il rafforzamento dell’Esm.
Berlino tuttavia si oppone al rafforzamento della vigilanza e delle sanzioni sugli squilibri macroeconomici, tra cui il surplus corrente tedesco. La spiegazione è che l’avanzo della bilancia dei pagamenti sarebbe da ricondurre all’efficienza della produzione tedesca, risultato del libero funzionamento della domanda e dell’offerta, e non ad altro. A fronte delle critiche, Berlino risponde che per l’area euro rileva solamente il saldo della bilancia comune (3,5% del Pil dell’euro-area) e che politiche economico-finanziarie non sono in grado di influenzare direttamente il saldo. Solo una crescita maggiore dell’economia tedesca potrebbe riequilibrare i conti con l’estero e per questa ragione il governo privilegia ulteriori riforme strutturali. Nel contempo, Berlino ritiene di aver aumentato gli investimenti, ridotto gli oneri delle comunità locali e introdotto un salario minimo. Altre politiche stimolano gli investimenti privati e i consumi delle famiglie, in modo da sostenere la domanda interna, come
IL GOVERNO TEDESCO
PIÙ INTERESSATO A RIDURRE I RISCHI CHE CONDIVIDERLI
mostrano gli ultimi dati.
Le iniziative di governance europea che interessano il governo Merkel sono invece tutte rivolte a ridurre i rischi anziché condividerli. Un ruolo speciale ha l’accumulazione di titoli pubblici nei portafogli delle banche, un problema ancora una volta rilevante per l’Italia. Secondo il governo tedesco «la crisi finanziaria ha dimostrato che i crediti nei confronti degli Stati non sono privi di rischi e che quindi di questi rischi va tenuto conto nella regolazione bancaria». Rifacendosi alla roadmap Ecofin del 2016, la ponderazione del rischio sovrano viene considerata una precondizione all’inizio del negoziato su un’assicurazione europea dei depositi bancari.
Berlino riconosce che sono stati compiuti progressi nella riduzione dei prestiti problematici delle banche dell’euro-area, ma ritiene che il loro livello resti troppo elevato e che sia necessario procedere con il piano di abbattimento deciso dal Consiglio europeo l’11 luglio. Anche se Berlino condivide l’importanza di completare l’unione bancaria , non è ancora il momento di iniziare a discutere di un’assicurazione comune dei depositi. Oltre alle misure discusse nel “pacchetto bancario” dall’Ecofin, Berlino vuole prima vedere progressi nell’armonizzazione del diritto fallimentare, nella riduzione dei nonperforming loans e nell’impegno a evitarne aumenti futuri, nonché un inquadramento regolatorio dei titoli di Stato nei portafogli delle banche. «Prima di parlare di assicurazione dei depositi, tutti questi aspetti devono essere risolti».
Naturalmente vista l’impossibilità di trovare un accordo sulla ponderazione dei rischi sovrani, né a livello europeo (a meno di adottare indici di concentrazione non riferiti all’esposizione a titoli nazionali), né a livello del G20, la posizione di Berlino sembra rinviare all'infinito l’introduzione di un’assicurazione comune dei depositi, pur vitale ad evitare circoli viziosi nelle crisi bancarie e del debito pubblico.
Anche se sembra acquisito che il Meccanismo di stabilità (Esm) possa fungere da finanziatore del fondo di risoluzione bancaria, il governo tedesco vuole che questo avvenga concretamente solo dopo una riforma complessiva dell’Esm. A sua volta però tale riforma è lontana dall’avanzare, visto che ancora si discute dei compiti futuri dell’istituzione, mentre non si è nemmeno deciso se ancorare il futuro Esm alla cornice giuridica della Ue o lasciarlo fuori dai Trattati. Ma i temi istituzionali, secondo Berlino, vanno sistematicamente subordinati alle scelte di contenuto e così il governo tedesco si astiene dal prendere posizione anche sulla necessità di un ministro delle Finanze europeo. Ugualmente, Berlino si oppone a un maggior ruolo parlamentare, sia europeo, sia nazionale, nel controllo delle istituzioni dell’euro-area. L’assenza di questi controlli contrasta con l’assenso di Berlino all’istituzione di fondi e di un bilancio dell’euro-area con funzioni di stabilizzazione delle economie degli stati membri e di sostegno alle riforme strutturali.
Ancora negative sono le reazioni del governo tedesco alle richieste di esentare dai limiti previsti dal Patto di stabilità la spesa per gli investimenti pubblici, la Golden rule spesso evocata in Italia. Che l’attenzione del governo e del Parlamento tedesco sia concentrata sull’Italia, è rivelato da interpellanze specifiche che entrano nel dettaglio delle dichiarazioni di esponenti della maggioranza italiana, a cominciare dalla proposta di trasformare con denari pubblici il Montepaschi in una banca d’investimento in una cornice di garanzie europee. Il governo tedesco si dice non in grado di rispondere perché non dispone di informazioni su un piano concreto, così come a proposito dell’introduzione di mini-BoT si limita significativamente a osservare che, non appena la proposta diventasse concreta, sarebbe indispensabile verificarne la compatibilità con i Trattati europei.