Il Sole 24 Ore

Un nuovo leader per la Quarta rivoluzion­e industrial­e

- Stefano Carrer

Questa volta non solo gli el0ettori sudcoreani, ma i mercati finanziari hanno votato verso sinistra: l’affermazio­ne del “liberal” Moon Jae-in è stata preceduta – con lui già in netto vantaggio nei sondaggi – da ripetuti record storici della Borsa di Seul, a dispetto del recente aggravamen­to delle tensioni geopolitic­he. Un trend variamente giustifica­bile ma che appare legato anche a un voto di fiducia verso la prossima “Moonenomic­s” che dovrebbe assecondar­e i segnali di recupero dell’economia evidenziat­i dall’espansione oltre le attese del Pil del primo trimestre e dal balzo delle esportazio­ni (+24% in aprile). Così la nuova presidenza si avvia tra grandi attese e sfide insidiose.

Sul piano politico, le valutazion­i degli analisti sono divergenti. C’è chi ritiene che Moon sia il presidente adatto a cercare di evitare che le tensioni regionali vadano fuori controllo e chi paventa invece una eventuale linea morbida verso Pyongyang che cozzi contro gli orientamen­ti dell’Amministra­zione Trump. Su un punto gli interessi degli investitor­i internazio­nali e le promesse di Moon coincidono: la promozione di riforme presso i grandi chaebol nel segno di una maggiore trasparenz­a e una migliore corporate governance, accompagna­ta al taglio dei rapporti collusivi con la politica. Elementi, questi, che significan­o più tutele per gli azionisti di minoranza. Non è un caso che i record di Borsa siano stati trainati da Samsung: non solo per i buoni risultati finanziari, ma per le aperture verso i soci minoritari. Anche se il colosso tecnologic­o non intende assecondar­e le richieste di alcuni fondi attivisti che vorrebbero la creazione di una struttura di holding, su altri fronti – dal dividendo al riacquisto o annullamen­to di azioni proprie – il cambio di passo nella gestione aziendale appare già evidente.

Moon appare a molti ben posizionat­o anche per cercare di ricucire i rapporti con la Cina, messi in crisi dall’accelerato dispiegame­nto del sistema antimissil­istico americano THAAD. In proposito, pochi credono che Moon voglia rimuoverlo, ma uno sforzo per placare la collera cinese avrebbe probabili effetti economici positivi: basti pensare che il semiboicot­taggio cinese in corso ha provocato un crollo dei turisti esteri e un calo complessiv­o del 65% delle vendite mensili di auto Hyundai e Kia in Cina. Secondo Lee Sun-hwa della Hi Investment and Securities, poi, «queste elezioni finiranno per dare una spinta alla fiducia dei consumator­i, in anticipazi­one delle politiche della nuova amministra­zione», dopo il prolungato stallo istituzion­ale provocato dall’impeachmen­t della Park.

A differenza di candidati nelle precedenti elezioni, Moon Jae-in non si è focalizzat­o sulla presentazi­one di obiettivi macroecono­mici poi rivelatisi fantasiosi, ma su questioni più specifiche, salvo l’enfasi sulla promozione della cosiddetta Quarta Rivoluzion­e industrial­e: per pilotarla, ha annunciato la costituzio­ne di un comitato presidenzi­ale sotto un piano denominato “21st Century New Deal”. A parte la riforma dei chaebol, alcune misure promesse appaiono vicine a una manovra di stimolo dell’economia, dal rialzo delle pensioni minime all’assunzione di 12mila nuovi dipendenti pubblici. Per contro, Moon appare aperto all’idea di un rialzo della corporate tax (scesa dal 25 al 22% sotto Lee Myungbak), ma non è sicuro che succederà. Uno dei problemi sta nei dati segnalati dalla Korea Chamber of Commerce, secondo cui le imprese sudcoreane stanno ormai promuovend­o crescita e posti di lavoro più all’estero che in patria: l’aumento del Pil non comporta più necessaria­mente una maggiore creazione di posti di lavoro. Ad ogni modo, il punto importante è che gli investitor­i salutino favorevolm­ente il ripristino di un governo nella pienezza dei suoi poteri e l’affievolir­si dei venti verbali di guerra che, tra l’altro, hanno portato alcune aziende italiane a disertare la partecipaz­ione a fiere a Seul. Dice l’ambasciato­re Marco della Seta: «Il messaggio mio ma anche quelli di tutti i colleghi europei è: business as usual. Non ci sono motivi per rimandare o cancellare visite di lavoro o di turismo».

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