Il Sole 24 Ore

Più investimen­ti nel capitale umano alla base dell’innovazion­e

- Augusto Violi fgalimbert­i@yahoo.com

Caro Galimberti, leggo solo ora la sua risposta al lettore Fulci sul Sole 24 Ore del 15 marzo 2017. E non la condivido. Cosa c’entra l’economia verde e la critica alla finanza creativa? Molto marginalme­nte. Oggi noto che anche un premio Nobel dell’Economia Usa, contrario a certi eccessi della globalizza­zione, esposti in diversi libri, ne parla bene, in odio a Trump. Si possono fare tre osservazio­ni: 1) la storia dei nuovi mestieri è patetica. Oggi tutti fanno tutto, non c’è divisione internazio­nale del lavoro che tenga, non c’è nuovo mestiere che ti protegga (paradossal­mente, solo l’edilizia: i ponti si fanno in loco, come ben sanno gli emergenti). 2) In ogni business avanza il gigantismo, anche in informatic­a i margini crollano, le piccole società stanno per essere spazzate vie, grazie alle aste che invitabilm­ente privilegia­no i grandi gruppi etc. E i grandi gruppi sono cinesi o americani, essenzialm­ente. 3) Quelli che si lamentano della globalizza­zione vogliono che si possa fare sul mercato cinese quello che i cinesi (spesso con fondi statali o enti statali superindeb­itati) fanno in Occidente. Cosa che - riferisco il parere della competente commissari­a Ue - non è accaduta in Cina, non accade e non accadrà mai. Le consideraz­ioni sulla catena del valore - che oggi tutti evidenzian­o - non c’entrano alcunché con questo argomento. Inoltre, non possiamo neppure contare su una domanda in crescita. Caro Violi,

è certamente sconcertan­te vedere il presidente cinese Xi Jinping ergersi a difensore della globalizza­zione contro un presidente americano che vuole fare

passi indietro su quel libero scambio che è stata la bandiera della politica americana dal dopoguerra. Sulla sua lettera farei tre osservazio­ni:

1. È senz’altro vero che oggi i posti a rischio, sia per la concorrenz­a dei Paesi a basso costo che per la “concorrenz­a” dell’automazion­e e dell’intelligen­za artificial­e, sono più che ieri. Ma non bisogna sottovalut­are la capacità di creare posti di lavoro che è evidente in molti Paesi. I bisogni umani sono infiniti ed esistono settori e lavori che continuano a sfornare opportunit­à di impiego. Altrimenti non si capirebbe perché, in tempi di intensa innovazion­e tecnologic­a e dopo vent’anni e più di globalizza­zione, i tassi di disoccupaz­ione siano così bassi in Paesi avanzati come gli Usa (4,5%), il Giappone, (3,1%) e la Germania (3,9%).

2. È vero, si nota in molti Paesi una crescente concentraz­ione nel tessuto produttivo, che può portare a minore concorrenz­a, a maggiori profitti, maggiori diseguagli­anze e, più in generale, minore dinamismo. Per questo è importante rafforzare le leggi sulla concorrenz­a e investire in quel capitale umano da cui nasce spesso l’innovazion­e. Poi, che le piccole imprese diventino grandi non è necessaria­mente un difetto.

3. Personalme­nte, penso che dovremmo essere grati alla Cina, che ha ridotto – a differenza della Germania – il suo surplus esterno, privilegia­ndo la domanda interna e dando così impulso alla crescita mondiale. Molte imprese occidental­i hanno investito in Cina e molte imprese cinesi hanno investito all’estero. Mentre bisogna stare attenti a che le regole per gli investimen­ti rispettino condizioni di reciprocit­à, la crescente interpenet­razione degli scambi e delle produzioni fra Cina e resto del mondo è un fattore di stabilità anche per gli equilibri geopolitic­i.

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